Non ha mai cercato di stare simpatico al mondo: lo sapeva bene, da uomo intelligente e arguto qual’è sempre stato, che sforzarsi di essere simpatici a tutti porta ad ottenere esattamente l’effetto contrario. La simpatia è una dote naturale, ognuno nasce con la sua: se la ritocchi, oppure la trucchi, si vede all’istante, da distante. Fu un uomo, Benedetto XVI (al secolo Joseph Ratzinger) che riuscì, in punta di piedi, a conquistarsi la simpatia dell’altro sforzandosi di trovare simpatici gli altri. D’indovinare tracce di simpatia nel mondo in cui visse: proprio in quel Novecento – il secolo breve, il secolo senza fine – nel quale cercò di rispondere alla brutalità dell’epoca con la nobiltà e la gentilezza del suo spirito. Tratti biografici che, nel tempo, sono divenuti tratti caratteristici di un uomo ch’era convintissimo del fatto suo: abolita la bellezza, la bellezza quella Maiuscola ch’è Dio, il mondo diventa un blocco freddo che agghiaccia la conoscenza. E la ragione potrà anche continuare a fare i suoi voli, ma non produrrà che mostri, perchè la conoscenza, senza la bellezza, è paralizzata. È stata questa, a mio avviso, la grande avventura del teologo Ratzinger, l’uomo che ha saputo elaborare una forma di teologia capace di prendere sul serio la partita della vita, senza nascondersi nella quiete di qualche cenacolo di periferia ma accettando di entrare in gioco laddove, oggi, si sta giocando la partita seria della vita umana. Lasciandosi provocare dalle domande che gli venivano rivolte dalla storia.

Attraversò il suo pezzo di storia scegliendosi la compagnia più bella: quella di Gesù di Nazareth. Più che obbligare il mondo a seguire il Cristo, confidò al mondo chi fosse Cristo per lui: l’Uomo che non delude, la direzione fondamentale della vita, la scommessa che vale la pena di tentare di giocarsi. Non obbligò alla sequela, ma dipinse – da gran pittore qual’è sempre stato – le conseguenze della venuta di Cristo nel mondo: parlò di lupi ch’erano in agguato dentro la chiesa, tratteggiò il fumo che saliva dalle voragini del male, combattè (come meglio potè) le illusioni che minano alle radici l’esperienza della fede. Facendo ciò, però, seppe intravedere nella grammatica che il mondo usava nella sua produzione – dipanando temi come insuccesso, noia, amarezza, frustrazione – una nostalgia del “totalmente Altro” che poteva benissimo essere il suo modo profano per parlare di Dio, senza mai citarlo. In questo, senza fare sconti, Ratzinger mostrò d’avere avuto in dote dalla natura il fiuto di un cane per il tartufo: una volta indovinata la “falla” della proposta pagana, si giocò lì dentro la sua proposta cristiana. Con un’eleganza sopraffine che, ai miei occhi sospetti, me lo rese simpatico, di una simpatia divina: «Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione» scrisse nell’introduzione del primo volume di Gesù di Nazareth (Rizzoli). Questa immagine rimarrà, per me, il suo tratto più tipico. Testimonia la libertà, intellettuale e spirituale, di un uomo che ai suoi lettori chiese un anticipo di simpatia, dichiarandosi disponibile a restituirlo, eventualmente, in caso di delusione; ma lasciando anche intuire, però, che senza quest’anticipo, una sorta di caparra di fiducia, non si potrà mai acciuffare il nocciòlo di nessuna questione. Non solo la questione di Cristo e dei suoi segreti misteri.

Inseguendolo tra i suoi libri – una delle fonti d’ispirazione della mia teologia – mi tengo cara la lezione appresa: “Mica si può stare simpatici a tutti, anche perchè quelli simpatici a tutti, sinceramente, alla lunga diventano antipatici”. Meglio, dunque, cercare di custodire nel cuore la simpatia di Dio, tentando in tutte le maniere di farla vibrare con una suggestione tale da risvegliare anche quella assopitasi nel cuore del fratello che non crede più. Che non ha mai creduto, che forse domani crederà. Del fratello che non si è mai posto il problema Dio. È la simpatia a tutti i costi quella che, alla fine, diventa antipatica. Chi, negli anni, ha voluto mettere un Papa contro l’altro, in queste notti forse rimpiange la grande occasione perduta: quella d’avere abitato una stagione nella quale Dio s’è giocato lo Spirito in una delle sue vesti più creative e inimmaginabili. Donandoci due uomini così mistici e arditi da non cadere nel facile tranello di spartirsi la simpatia del pubblico pagante.

È la simpatia di Dio che a loro preme. Che è sempre premuta loro.

(da Il Sussidiario, 2 gennaio 2023)

7 risposte

  1. Buongiorno don Marco. Hai avuto la fortuna di conoscere anche lui.. Che bello. Grazie per le buone parole scritte su di lui. Me lo rendono ancora più caro. Pace. Buona giornata e grazie sempre..

  2. Grazie caro don Marco, per aver elaborato un ritratto così bello, reale e , a mio avviso,”onesto” di Papa Benedetto, uomo di Dio, timido, culturalmente e spiritualmente molto elevato che non passerà alla Storia per ” il Papa del gran rifiuto” , ma per Colui che con determinazione, fede, coraggio e UMILTÀ operò scelte sofferte e importanti e non smise mai adi sostenere la CHIESA con la preghiera e lo studio.

  3. Non faccio fatica ad ammetterlo : Giovanni Paolo secondo è stato il Papa della mia maturità anagrafica e spirituale che ho amato di più lasciandomi la convinzione , dopo la sua perdita , che mai nessuno avrebbe suscitato in me le emozioni , gli interrrogativi , i dubbi , le crisi e le risalite , il bisogno di introspezione nel cercare risposte , non sempre facilmente trovate; un trascinatore di giovani a lungo rimpianto. Per questo l’avvento di Benedetto inizialmente mi ha colto freddina ed impreparata: troppa differenza tra i due , avvolgente nell’abbraccio di folle immense , un sorriso aperto e contagioso, Santo subito il primo . Timido e riservato,
    di parole essenziali e senza fronzoli il secondo. Poi attraverso i suoi scritti , luce per l’umanità, la scoperta: inattesa e da principio sconvolgente unita ad una vergogna personale per l’errata mia valutazione umana e la mancata considerazione che lo Spirito vola libero senza sbagliare un colpo. Benedetto, il Papa dal sorriso timido anno dopo anno è divenuto , per me e non solo , un gigante che ha vinto gli increduli con la fermezza e l’ onestà intellettuale e spirituale, rimanendo con la schiena dritta anche quando i venti degli scandali hanno soffiato forte. Anche le successive, tanto criticate dai sapientoni, dimissioni sono state per l’ umanità un esempio di umiltà, fede , forza e coraggio il cui frutto – dono è stato Francesco. Sul loro rapporto , tu don Marco sei stato esauriente e nel ripetermi sciuperei la bellezza delle tue parole. Colgo l’occasione per inviare a te e famiglia, ai tuoi collaboratori e gli amici del gruppo gli auguri più affettuosi di giorni preziosi da vivere nella serenità del cuore , certi che lo Spirito ci é vicino per non farci senire mai soli. Felice anno.❣🌹

  4. Grazie don Marco per queste considerazioni, chiare e sintetiche. Ho sempre pensato, nel mio piccolo, che la presenza contemporanea di 2 Papi fosse la risposta dello Spirito Santo, che tutto sa, alla necessità di un surplus di Grazia per questa umanità smarrita.
    Tutto ha un senso quando ad operare è Dio Padre!

  5. Grazie per le bellissime parole, per l’umanità e la dolcezza con cui hai descritto il Papa Emerito. Come qualcuno ha già scritto, all’inizio del suo Pontificato, dopo quello che era stato “ il mio Papa”, avevo sedici anni nel 1978, sono sincera, ero un po’ scettica. Col passare del tempo mi sono ricreduta. Con la visita nella mia Diocesi, come prima visita, ho iniziato a conoscerlo ed apprezzarlo. Il coraggio di ritirarsi ha dimostrato al mondo cristiano e non , il suo amore per la Chiesa. Grazie Papa Benedetto.

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