IMG_2067Si registra una media di un suicidio al giorno, negli ultimi tempi. Sono imprenditori oberati dai debiti, pensionati, casalinghe, operai rimasti senza lavoro. Ritorna alle nostre orecchie, un telegiornale dopo l’altro, il problema degli “esodati”: di quelle persone che, invogliate prima ad andare in pensione anticipatamente, hanno lasciato il proprio lavoro, contando sulla imminente pensione; che però è stata posticipata di parecchi anni, con le ultime riforme in materia pensionistica dell’attuale governo. Governo, per altro, salito al potere in un modo che pare simile ad un golpe senza esercito (dal momento che non ci sono state elezioni e che la “sostituzione” – non trovo altro termine che possa descrivere il cambiamento – è stata oltremodo sollecitata da altri governi europei nonché dai banchieri internazionali, scavalcando quindi la sovranità nazionale). Che qualcosa di “strano” ci sia, è avvalorato anche dalla recente denuncia (ad opera di un avvocato), nei confronti di Napolitano e Monti, per attentato alla Costituzione.

Queste morti – a cui accennavo sopra – non possono lasciarci indifferenti, senza interrogarci. Una vita che muore è una candela che si spegne, una luce che smette di illuminare la notte buia. Vale forse meno che sia di un imprenditore oppure di un operaio? Non siamo forse tutti padri, madri, fratelli, sorelle, figli, amici, colleghi? Il vuoto che lascia una persona che muore è sempre dolorosamente incolmabile. È l’inevitabile derivazione del nostro essere unici e insostituibili, pur con tutti i nostri limiti.

 

La gente muore, per disperazione e per vergogna, più ancora che per debiti. Se calcoliamo poi che tante imprese piccole e medie stanno fallendo per l’inadempienza delle pubbliche amministrazioni, tutto ciò rende il conto da pagare non solo salato, ma una vera e propria beffa ai danni dei cittadini!

C’è crisi, ma che crisi è? Una crisi strana, dove non manca il cibo, non c’è carestia, i problemi li hanno le banche e il risultato è che le banche continuano ad arricchirsi, le aziende chiudono, i consumatori non comprano, nessuno assume più e la disoccupazione giovanile è alle stelle. In questo scenario idilliaco, completamente dimenticati dai politicanti, giacciono gli operai della INNOVA, azienda in appalto presso l’Alfa Romeo di Arese: 62 posti a rischio su 70. In cambio, sono stati assunti degli extracomunitari, con stipendi non inquadrati secondo i contratti nazionali, naturalmente. In nome del risparmio, il valore intrinseco del lavoro umano è completamente cancellato!

Noi cristiani, più ancora degli altri, non possiamo lavarcene le mani, come Pilato. Nessun ambito umano è off limits per Dio e a maggior ragione, credendo in un Dio Giusto, morto ingiustamente (condannato da un processo-farsa), siamo chiamati a farci prossimi nelle ingiustizie, riscattando ed evidenziando la nobiltà del lavoro e la capacità di contribuire alla costruzione di uomini migliori. Ma a certe condizioni.

E la prima è il rispetto. Il valore incondizionato della persona umana suggerisce che il lavoro non può essere sfruttamento: chiunque presta la sua opera, ha diritto a una giusta ed equa ricompensa per la sua fatica, come sancito dalla stessa Costituzione Italiana in più punti, ma in particolare  all’articolo 11 e all’articolo 36.2

La crisi non è necessariamente una situazione negativa: è senza dubbio impegnativo affrontarla, ma può rivelarsi un’occasione di crescita, di ripensamento di valori e sistemi economici perché li possiamo avvicinare all’essere umano nel suo inestimabile valore; l’attività umana non può essere ridotta a semplice “costo di produzione” di un prodotto, ma, al contrario, andrebbe considerata quale valore aggiunto di esso, risorsa (non a caso si parla di “risorse umane”). Spesso, siamo noi per primi a farci la domanda sbagliata: ci domandiamo “quanto costa quella cosa?” e talvolta commentiamo “costa troppo”. Ma ci rendiamo conto di quanto valga? Di quante ore siano necessarie per ottenerla? Quanto lavoro umano? Quanta preparazione professionale è scesa in campo? Quanto studio è stato necessario? No, vero? Eppure considerare tutto ciò è necessario per comprendere quale sia veramente il valore di quanto abbiamo tra le mani. Non tutte queste cose sono valutabili in modo monetario, ma certamente il valore di un prodotto finale è percepibile, a chi sa valutarlo, persino a dispetto del suo prezzo (più o meno corrispondente al valore effettivo).

C’è poi un diritto cattolico (nel senso più ampio di “universale”) che viene sempre meno rispettato. Parlo del diritto alla festa. “Siamo in uno stato laico”, obietta qualcuno. Già: ma come fa una famiglia (per “laica” che sia) a trovare momenti di condivisione insieme, se uno non lavora il lunedì, un altro il martedì, il terzo il mercoledì? Questo lo faceva notare il cardinale di Milano, Angelo Scola, in uno dei suoi interventi pubblici. Credo che questa riflessione sia condivisibile anche da chi non crede.

Comodo il supermercato aperto la domenica? Forse, per chi va a comprare. Giriamo il foglio e troviamo la cassiera, che non può giocare coi suoi figli un giorno in cui essi sono a casa da scuola. Questo, per far comprare la gente alla domenica.

Il lavoro c’è anche in periodo di crisi, naturalmente. In nero, senza garanzie sindacali, spesso senza neanche il minimo di sicurezza (non solo economica, ma anche… fisica!) che il lavoro (e, in particolare, alcuni tipi di lavori!) richiede. E se ti lamenti sei un “viziato”. E invece no: si tratta di riconoscersi dignità. Perché chi accetta di svendersi, accetta di vivere per lavorare, invece che lavorare per vivere. E il che è grave. Perché, se, da un lato, il lavoro è una parte nobile dell’uomo e ricercare in questo campo la propria realizzazione è splendido, dall’altra resta riduttivo pensare di limitare l’orizzonte umano solo a quello. Un uomo può pienamente realizzarsi nel proprio lavoro, oppure no. Ciò non dipende mai totalmente da lui. Non solo: non basta, all’uomo, essere un professionista di primo livello per considerare piena la propria vita, se il resto intorno a lui è deserto assoluto e mancanza di senso profondo. Il lavoro fa parte integrante (e possiamo dire anche cospicua) della vita di un uomo, ma non può essere considerato un ambito totalizzante. Sminuirebbe il valore incommensurabile dell’uomo!

C’è la crisi, ce lo dicono tutti; forse per farci mandare giù delle scelte illegittime, ingiustificate e ingiustificabili, per lasciare che si oltraggi la democrazia e decenni di conquiste sindacali. Per un posto di lavoro, non possiamo abdicare alla nostra dignità, perché non possiamo equiparare il valore infinito che portiamo con noi, rinunciando a riconoscere la nostra identità più piena e profonda. In nome del dio denaro.

Quello a cui stiamo assistendo, in Europa, ma in particolare in Italia, in modo progressivamente sempre più veloce e aggressivo, è lo smantellamento di quella rete di sicurezza sociale, costruito negli anni, in favore di maggiori vantaggi economici. Insomma: il lavoro per il lavoro, a tutti i costi. Dimenticando tutto il resto. Che è una parte importante del tutto!

La sfera economica non può essere considerata a sé stante, amorale ed immune a qualunque classificazione: anch’essa è parte dell’umano e non può rivelarsi disumanizzante, pena l’incompatibilità con l’uomo.

Parliamo di fondi e di crisi, di denaro e di spread, ma che fine ha fatto l’uomo? Parliamo della sperequazione tra i vari Nord e Sud, centri e periferie del mondo e non ci accorgiamo che sono frutto della mancanza di fraternità dei popoli, dello sfruttamento poco oculato di risorse che basterebbero per tutti. La domanda che sottende ogni altra domanda è: dov’è l’uomo?

Quante volte lo abbiamo dimenticato, svalutato, mercificato, barattato con un pezzo di cartamoneta, pensando a come risparmiare meglio, senza preoccuparci di cosa questo significasse in termini di “materiale” umano?

Sì, è una situazione difficile, ma non solo economica. Senza identità e consapevolezza di noi e della nostra identità, non risolveremo né i problemi economici, né la crisi di valori ormai in atto.

 

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NOTE

1 Articolo 1 della Costituzione Italiana: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Questo articolo è stato analizzato da Paolo Coveri, mettendo in evidenza alcune “anomalie” e “pericoli” in una nota (tutt’ora su Facebook).

2 Articolo 36 della Costituzione Italiana:” Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

 


Nota all’articolo: pur non essendoci citazioni dirette, faccio libero riferimento all’enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto  (disponibile anche online, quindi gratuitamente consultabile) di Benedetto XVI, per cui consiglio al lettura a chi voglia approfondire e faccio notare che le posizioni contenute in detta enciclica sono, a mio avviso, evidentemente inconciliabili con l’attuale governo antidemocratico e le sue riforme.

 

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