Come una sfilata d’alta moda: sulla passerella si esibisce il top dell’estetica, il massimo dello stile, la cura maniacale dei particolari. Nella strada, però, son pochi coloro che indossano abiti di simile caratura. Eppure le sfilate sono necessarie: è contemplando il massimo della ricerca che il piccolo sarto di bottega, nascosto tra la folla di curiosi, s’ispira per poi elaborare un suo prodotto. Qualora mancasse la sfilata, mancherebbe il pungolo a migliorare un’intuizione, ad affinare il gusto, a ricercare il meglio da proporre in vetrina.
E’ come uno stilista d’alta moda il mio vescovo: propone il top – come sulla passerella di una sfilata – per additare il massimo che ogni suo prete tenterà poi di concretizzare (o per dirla evangelicamente: di “incarnare”) nel tessuto della sua parrocchia. Di montagna o di pianura, di vallata o di reclusi, di operai o di sindacalisti poco conta: la bellezza, come l’intelligenza, sa adattarsi ad ogni evenienza. Quest’anno lo slogan dell’anno pastorale è ambizioso, sulla scia dell’ambizione e del paradosso del cristianesimo stesso: “chiediamo di poter vedere il vostro volto” (1 Ts 3,10). Poco importa se è stata trafugata tra le intuizioni del Paolo Apostolo: “Padova o Tessalonica poco cambia”, avrà pensato il mio vescovo. E avrà pure le sue ragioni: a camminare sotto il cielo, l’animo umano non è poi così cambiato dai primi tempi dell’era cristiana. Il tema del volto ogni parroco-sarto lo tradurrà poi nella lingua della sua gente: usando metafore o contrappassi, traducendolo a modo suo o fedele all’intuizione episcopale, attaccato sopra la porta della chiesa o calcandolo negli avvisi parrocchiali. Un anno intero a contemplare i volti della propria gente, o meglio a chiedere di poter vedere i volti di coloro, sopratutto, che nell’anagrafe della nostra memoria di preti non hanno volto. Senza volto perchè lontani dall’area parrocchiale, restii alle adunanze dell’oratorio, allergici a tutto ciò che odori di moralismo o di insegnamento. Non appartengono all’Azione Cattolica e degli scout non conoscono l’anagrafe di Balù o di Akela, del consiglio pastorale non tengono comprensione e delle novene magari non conoscono l’origine. O più semplicemente sono volti sconosciuti perchè volti che non hanno voce nelle navate. E senza voce diventa difficile raccontare la propria storia; senza storia non si immagina il volto, senza volto non si conosce neppure il cuore.
Un anno a contemplare volti: stavolta la sfilata è ardita nella sua segreta bellezza. Ancor più insopportabile se la si legge al rovescio: “chiediamo di poter mostrare il nostro volto”. Ma qui la sfida si complicherebbe per davvero a noi preti: significherebbe ammettere che a qualcuno non abbiamo lasciato voce, abbiamo impedito di mostrarci lo sguardo, l’abbiamo ridotto ad uomo-ombra. Perchè il volto dice tutto: la somiglianza con un casato, le traiettorie dell’animo, la sagomatura di una preoccupazione. Permettere ad un volto di mostrarsi è offrirgli la possibilità di salire sul palcoscenico della storia e prendersi il posto che gli spetterebbe di diritto. Chiediamo di poter mostrare il nostro volto: siamo poveri e delinquenti, usurai e precari, senza lavoro e senza sogni. Siamo il volto che ci piacerebbe mostrarvi per sentirci pure noi a casa nella vecchia pieve..
E’ la sfida del millennio: ad un mondo che sembra stanco di attendere il Volto di Dio, l’occasione di lasciar mostrare i frammenti del Suo volto nascosto nel volto di chi vive accanto a noi. Dal suo atelier lo stilista lancia la sfida, nel suo laboratorio di bottega il sarto coglie un particolare e attorno ci gioca il suo talento. Comunque la si veda, sarà un anno di sguardi: perchè in qualunque caos l’uomo e la donna abitino, quello sarà il punto di partenza del viaggio di ritorno verso Lui ch’è rimasto di una Bellezza fuori misura. D’altissima moda.
(da Il Mattino di Padova, 4 novembre 2012)