manichinoTe lo scriverò sull’asfalto, con quella vernice bianca che tanto appassiona il cuore dei goliardi nel vespro che antecede qualche matrimonio: “Torna indietro, sei ancora in tempo”. E poi c’aggiungono il nome del loro amico, quasi sempre maschio, come se la condanna fosse donna nella storia. C’aggiungono Luca, Paolo o Filippo. Qualcuno s’aggrappa ai soprannomi: Cesco, Jack o Momi. Mi sono procurato pure io un po’ di vernice, quella che mi servirà – appena rincasato da Betlemme cogli agnellini – per scarabocchiare in prossimità delle mura di Gerusalemme una scritta: “Torna indietro, sei ancora in tempo Gesù”. Il vociare confidente della gente per le strade, il trabattare misterioso dentro le navate delle scuole rabbiniche, il trascolorare dei sentimenti nel cuore della gente di Galilea m’hanno reso una conferma: qui di Te, Rabbì, non gliene importa nulla a nessuno. Vedrai domani la farsa di quelli della piazza: canti, cori, applausi e grida festanti. Strapperanno le palme, si caleranno dalle finestre, già qualche stendardo è calato sui torrioni della città. Faranno tutti festa per Te ma dopodomani mors tua vita mea e “muori Infame!” A loro non interessi, vogliono farti la festa a modo loro. Forse qualche sorriso l’hai strappato – quello di zoppi che ora camminano, di ciechi che ora contemplano l’azzurro del cielo, di madri che stringono figli ch’erano già morti -, qualche ferita è stata cucita, qualche bocca è stata saziata. Eppure loro cercavano un Dio più simpatico, stile cartoon, che desse loro il necessario per ridere, divertirsi e dimenticare il tempo che scorre. “Torna indietro, sei ancora in tempo”. Con una frustrata nella groppa costringi quel mulo a girarsi e invertire la rotta: scendi lungo la mulattiera che passa dietro la tomba di Rachele e nasconditi qui nella mia stalla. Le pecore, gli agnelli e le vacche sono quelle che t’han visto Bambino quella notte. Ancor oggi le stelle parlano di Te e tramandano coi sospiri la magia di quell’Attesa divenuta storia. Nulla di più dopo: ormai t’han dimenticato tutti perchè i tuoi discorsi – dicono gli altissimi teologi – sono occasione di scandalo e non assicurano il domani del calendario. Tu rischi la vita per preparare loro le praterie sconfinate del Cielo, il non-tempo dell’Eterno: ma lì dentro quelle mura basta loro un monolocale con angolo cottura, forno microonde e TV al plasma. Tutto il resto non si tocca, non si gusta, non ci s’appropria: per questo non è degno di attenzione. Moshe, un mio collega che abita oltre il Cedron e tiene una fattoria, m’ha detto che da qualche mattina nella stalla sente il suo gallo raschiarsi la gola, quasi volesse fare le prove di un concerto nel quale esibirsi fra poco. Chissà mai che la sua voce non s’aggreghi alla mia scritta sul ciotolato della strada per ricordare pure a Te che forse era meglio tornare indietro invece che fars’ingannare dal gaudio di quelle palme impastate di urla, di sorrisi e di vigliaccheria.

Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente. (Mt 26,14- 27,66)

Sono prevedibili gli uomini, Rabbì: quella è gente a cui hanno offerto vitto e alloggio per gridare, hanno promesso un posto in sinagoga, qualcuno se ne tornerà con qualche moneta nella tasca: Gerusalemme è una città venduta. Gridano e invocano il tuo nome ma non ci credono: sono pagati per farlo mentre dentro le stanze della vecchia città, nascosti in quel mercato sempre così caotico e furibondo, teologi e rabbini stanno già marciando contro di te promettendosi una vesta da ripartire. Credimi, Rabbì, torna indietro: Gerusalemme è una donna smaliziata e traditrice. Lei, i suoi figli e tutta la sua discendenza a venire. Per tutti i secoli dei secoli (amen). Rabbì, fermati e ragiona, Gerusalemme è un’ingannatrice.

Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».

Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.

Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.
(Salmo 21)

Non ti cerca, non ti vuole, t’attende solo per tenderti una vile imboscata: ha già cominciato iniziando a comprarsi i tuoi amici-preti. Ha davvero senso entrare da quella porta?
Rabbì, torna indietro, sei ancora in tempo.


Oggi in più di qualche chiesa si leggerà la forma breve del Vangelo della Passione: d’altronde non si può rischiare che nella canonica l’abbacchio cruci nel forno. Meglio tagliare sul Vangelo che sulla gastronomia. Peccato che la Passione – quella di Cristo che è l’anticipo e l’emblema di tutte le passioni successive – non si presenti mai in forma breve. Il Demonio sta facendo “campagna acquisti” tra i ministri di Dio: “tagliate la passione, non parlate di queste cose alla gente”. La grandezza del cristianesimo sta nel mostrare il Dio morto sulla Croce, annientato dal dolore, che offre al mondo le sue piaghe e la morte. Se oggi avvertite che il sacerdote usa la “forma breve” alzatevi e cambiate Chiesa. Cristo sulla Croce non ha illuso nessuno nè tantomeno ha promesso che la passione/sofferenza sarebbe stata proposta all’uomo e alla donna in due versioni: breve e lunga. Come se il suo messaggio rispecchiasse la litania dell’Eurostar: “dolce o salato?”.

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