Di loro rimane un mazzo di fiori ai bordi della carreggiata, a imperitura memoria di una vita spezzata anzitempo: per disattenzione o fatalità, per responsabilità proprie o altrui, per inesperienza o inettitudine alla guida. Un’estate bollente anche per le vittime della strada: non passa giorno che i giornali non lancino la notizia di un nuovo incidente, che lungo la statale non ci s’imbatta in un’auto rovesciata, che la cronaca non racconti di stragi vere e proprie sulle nostre strade italiane. Sarà che ogni estate alla fine presenta il suo conto – e per questo forse un po’ ci siamo abituati a qualche “straordinario” di vite da saldare – ma quella delle giovani vite spezzate anzitempo è una questione amara per una società giovane che ha fatto dell’estate e del divertimento molto spesso la sua forma di “evasione” da una routine che alla lunga non è più capace di far germogliare un sano divertimento.
Evadere per divertirsi: una coppia di verbi che ogni epoca della storia ha adottato come paradigma, coniugato di volta in volta a seconda dei gusti e delle esigenze della gente. “Evadere” è un verbo che ultimamente è sempre con la faccia nel giornale: si evadono i controlli e le tasse, la scuola e il carcere. Ma “evadere” è un verbo figurato usato anche altrove: si evade dalla routine e dalla noia, dalla spossatezza e dall’angustia, da una storia non più capace di procurare divertimento. “Evadere” è dunque un verbo che ama fare coppia con “divertirsi”: perchè uno evade quando non prova gioia e piacere, quando la realtà che lo circonda è frastornante, quando a fare le cose quotidiane non si prova più quel piacevole diletto che fa sentire compresi e realizzati senza cercare di forzare quel limite che fa di un divertimento un’evasione pericolosa. D’estate si evade volentieri per divertirsi: è una legge di natura che l’uomo conosca momenti di lavoro e di svago, di applicazione e di riposo, di fatica e di gaudio. Anche per questo certe città e certi luoghi hanno fatto dell’evasione e del divertimento il loro biglietto da visita nel panorama nazionale e internazionale: città dei balocchi gemellate con la notte.
Nessuna evasione, però, dovrebbe abituarci al prezzo della morte: in tal caso il divertimento da musica assordante si trasforma ben presto in una nenia funebre d’insopportabile fastidio. Perchè “evadere” è pure un verbo pericoloso quando indica la fuga e la latitanza, il nascondersi e la paura d’essere scoperti. Non per nulla d’estate lo si abbina volentieri alla notte, perchè di notte s’abbandona la formalità del giorno, la compostezza sociale, il vestito stirato, il comportamento ineccepibile. Si è liberi la notte perchè si fanno cose che il giorno non concede: “chiamatela come volete, per me può essere anche la parte perversa. Magari scambiarsi lo stesso ragazzo. Ma viene una cosa naturale perché sei talmente calata nell’ambiente, sei talmente coinvolta che andare in giro in mutande è una cosa normale. Certo è esibizionismo” – annota una ragazza sul suo profilo virtuale. Le notti d’estate hanno ispirato canzoni e letteratura, cronaca bianca e nera, film e piacevoli amarcord. Le notti cantate da Ligabue: quelle nelle quali la macchina è calda e decide lei dove andare, dove non conta la strada ma sentire che vai; notti che somigliano ad un vizio che non vuoi smettere mai. Notti che all’alba fanno trovare sul ciglio di una strada di periferia il sospetto che il divertimento non valesse un’esistenza perduta.
La guerra all’evasione è aperta: parola di Mario Monti. Peccato sia sempre e solo quella fiscale: le maggiori perdite uno stato le trova annotate nei necrologi che presenta a fine estate. Anche questa lotta per l’educazione al divertimento è amore e interesse per il futuro di un popolo.