Che gli appunti annotati segretamente da un grande boss – soprattutto del calibro di Matteo Messina Denaro – costituissero una miniera abbondantissima di curiosità e suggestioni era una cosa scontata quasi come l’ipotizzare che con il suo patrimonio personale si possa firmare un’intera manovra finanziaria dello stato italiano. Niente di nuovo, dunque, in ciò che sta emergendo nei libri che si stanno pubblicando dopo l’arresto della primula rossa. L’ultimo quello scritto da Maurizio De Lucia – “La cattura” (Feltrinelli) – il procuratore di Palermo che ha guidato le indagini che hanno portato alla cattura del superboss di Castelvetrano.
Per quanto ipotizzabili possano essere, vederli scritti, certi pensieri, hanno il potere di rendere ancora più plastica l’immaginazione, l’ostinazione e il mondo celato di un grande capo. Di un grande sistema come quello criminale, mafioso. Il “mammasantissima” siciliano – l’uomo che non guardava in faccia nessuno, e che aveva come unico limite la sua follia criminale – s’innervosiva assai quando nella sua strada si imbatteva in un santo. Non in un cristiano comune: anche lui, quando glielo chiedevano, poteva rispondere che andava a messa, leggeva la Bibbia, conosceva i comandamenti a memoria. Il santo, però, è infinitamente di più: è l’uomo che, dopo essere rimasto stregato dalla figura e dalla proposta del Cristo, fa diventare gesti quelle parole. Costi quel che costi. Eccola, dunque, la grande rabbia di Messina Denaro nei confronti di padre Pino Puglisi: «Oggi la Chiesa si è politicizzata – scrive in uno dei suoi pizzini -: ha militarizzato i propri esponenti che condannano e puniscono come flagellatori di corpi e di anime».
Ammettere che i santi gli diano fastidio – a lui che vantava di «riempire un cimitero con le persone che ho ammazzato» – è ammettere che la fede, una volta che diventa storia, è in grado di smascherare il criminale a se stesso. Non con le parole, ma mettendo in atto dei gesti che, al solo guardarli, gli fan capire quanto è sozza una coscienza quand’è inzuppata di sangue e di calce. Ai santi queste parole suonano come attestato ad honorem d’una vita pericolosa per chi ha confuso la fede per un hobby, il Vangelo per un libro di favole, Gesù Cristo per un seppur distinto filantropo del passato. Una “sberla” dalla doppia faccia. Non solo ai boss rovina il sonno, ma anche per la Chiesa stessa è fonte di inquietudine: perchè testimonia che la fede, quando esce fuori dalle sacristie e va a giocarsela lealmente col mondo, ha un potere di purezza tale da incutere terrore al terrore stesso. Anche il contrario, però: quando il messaggio di fede non impensierisce più nessuno, vuol dire che il sale ha perduto il suo sapore.
(da Specchio de La Stampa, 10 settembre 2023)
2 risposte
Da brivido.. e ci svegli dal torpore… Grazie Don Marco e buona giornata.
Sei prezioso per me. Benedetto dal Signor ❤️🙏
Realtà profondità e verità..la santità è concreta e veritiera..grazie Don Marco