grappoliGrappoli d’uva sotto il sole di settembre: stanno le vecchie donne sotto i filari di viti, rincasano i carri prospettando vino pregiato, sorridono i contadini sull’uscio delle stalle, tintinnano i bicchieri all’ombra dell’osteria di paese. Settembre è il mese della vendemmia: piangono le malghe per la partenza degli armenti verso le valli, gioiscono i tini per i cesti traboccanti di acini e di belle speranze. E’ una liturgia la vendemmia: profumi e attese, potature e rinforzi, tagli e innesti, trattamenti e passione. Poi tutto il resto spetta alla natura che tra complicità e malignità segna il destino di un’intera stagione. E’ un’antichissima liturgia la vendemmia: liturgia della natura, celebrazione degli uomini, appiglio al quale s’aggrappa pure il Gesù Messia per parlare di tralci che portano frutto e di tralci destinati a seccare ed essere bruciati. Il Vangelo attesta passaggi, miracoli e trepidazioni ma tramanda anche il sapore del vino, l’occasione della festa, lo stupore di quelle sei giare d’acqua divenute vino di consolazione.
Eppure dietro quel bicchiere di rosso pregiato, sta nascosta una splendida storia d’amore: quella tra il sole e l’uva. All’inizio della stagione si frequentavano da estranei. Lui lassù: maestoso, luccicante, caloroso, quasi superbo. Lei non era ancora uva a quel tempo: era un semplice fiore, un minuscolo granello verdeggiante, un puntino sotto la patina della foglia. Col trascorrere delle stagioni si son guardati, cercati, parlati. Lui ha iniziato a scaldarla, lei ha iniziato ad arrossire; lui la cercava tra i tralci, lei faceva capolino per rubare luce al filare nella collina; lui s’interessò di lei, lei s’interessò di lui. Il calore del sole, il verde immaturo dell’uva. Il contadino ogni tanto guarda il cielo: per preservarsi dalla furia della tempesta e assicurarsi un agosto di raggi luminosi, perchè sa che il destino dell’uva è una questione di calore che tocca, riscalda, illumina. Nei meriggi di settembre l’uva si farà cogliere, si lascerà bere, si sentirà gustare.
Il sole l’ha maturata: senza toccarla minimamente. Solo guardandola, cercandola, illuminandola. Chissà se l’uomo un giorno apprenderà pure lui lo stile del sole: se un giovane imparerà a far maturare la bellezza di una fanciulla senza rovinarne e graffiarne la verginità, se l’uomo imparerà a convivere con il fratello appoggiandosi al suono delle parole più che alla forza delle mani, se la donna si lascerà ancora stregare da uno sguardo, un suono, un profumo o cercherà la forza di un maschio pronto ad usarne la femminilità. Perchè ci sono cose che per maturare chiedono di non essere toccate da mani d’uomo, come cuccioli di capriolo che la madre abbandona se avverte passaggi stranieri sulla loro pelle. Sono cose fragili, delicate, preziose: la bellezza, l’ingenuità, lo stupore, l’incoscienza, il sorriso, la semplicità, la freschezza del corpo, l’armonia del linguaggio, l’ondulazione del cuore, l’alfabeto dell’anima. Essenze primordiali difficili da far maturare perchè chiedono d’essere accese senza essere violentate dalle mani. Grappoli d’uva che maturano con l’aiuto di un sole che non li tocca ma l’illumina e li riscalda rimanendo lontano. Eppure vicinissimo al punto da farli abbronzare come corpi sulla spiaggia del mare.
Il sole e l’uva, la luna e la neve, il vento e la foresta; lo sguardo e l’amore, la preoccupazione e il rossore, il suono della campana e le lacrime, un volto vicino e il cuore che batte. Sono le assurdità splendide del Vangelo del Nazareno che invita alla vendemmia facendosi aiutare da occhi che guardino ma ti lascino libero, mani che stringano la tua ma non la trattengano, amori che t’avvolgano ma non t’imprigionino. Lo stile del sole che dell’uva è innamorato al punto da non sfiorarla nemmeno per paura di graffiarne la sua bellezza e di rovinare la sua fioritura.
Guardare e non toccare: per assaporare la Bellezza.

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