“Questo è un messaggio per chiunque voglia essere un atleta: se lo vuoi più delle ore di sonno, o della movida notturna, più dei likes sui social…se lo vuoi più dei capelli in ordine, o dei dolci, più di un viso senza graffi e denti perfetti, o di mani curate…se davvero vuoi essere un atleta, solo volerlo non è abbastanza!”
Queste sono le parole di uno spot che la “Asics” manda in onda da circa un mese sulle reti televisive; e la domanda sorge spontanea: perché mai questo brand sportivo ha dovuto elaborare una tale pubblicità per promuovere un suo prodotto? Cos’è diventato oggi lo sport?
Grazie alla scoperta di alcune pitture rupestri, gli storici sono riusciti a dimostrare che addirittura l’uomo primitivo svolgeva attività non prettamente legate alla ricerca di cibo e alla sopravvivenza; attività di svago che nel corso dei secoli si sono evolute in varie parti del mondo fino a giungere al periodo ellenistico e romano, dove nacque una vera e propria cultura dell’attività sportiva, della competizione fisica e della cura del proprio corpo. Adolf Hitler sfruttò lo sport per forgiare “la razza perfetta”, in Cina i maestri del Tao insegnavano la ginnastica perché garantiva la salute del corpo e l’immortalità dell’anima, e le Olimpiadi sono uno degli eventi maggiormente attesi in tutto il mondo anche nel XI secolo; lo sport dunque è parte dell’uomo, e fin dall’antichità lo accompagna nel suo sviluppo, ma va sottolineato che purtroppo oggi, nonostante un gran numero di ragazzi pratichi con serietà almeno un’attività, molti giovani tendono ad evitare qualsiasi forma di fatica che sia fisica o mentale, facendo così nascere tra loro questa moda del “faccio sport per apparire”.
Navigando sui vari social network è all’ordine del giorno trovare foto di ragazze e ragazzi in palestra, agghindati di tutto punto con abbigliamento di marca pronti per una corsetta o per fare qualche sollevamento pesi; nell’era della condivisione, in cui la privacy si è praticamente estinta, tutto ciò appare normale, ma il problema è che la maggioranza di questi “sportivi social”, dopo aver visto che sulle loro delicate mani si è formato un callo, oppure dopo aver scattato qualche decina di foto, aver scelto la migliore e averla modificata con un filtro per apparire più in forma o con un viso più carino, ripongono “armi e bagagli” e tornano a casa, avendo anche il coraggio di dire che sono stanchi per aver tanto faticato in palestra. E’ questo che oggi è diventato lo sport per molti: un qualcosa che si limita a far vedere agli altri che tengo alla mia forma fisica, un qualcosa che si sacrifica senza rimorsi per andare a ballare, un qualcosa che serve per avere più likes su Instagram, un qualcosa che ha perso il suo vero significato.
Fortunatamente non tutti la pensano così. Asics, per ovvi motivi di merchandising, sponsorizza il vero sport e la vera fatica, e sono milioni i giovani che scelgono di rinunciare alle unghie perfette, a una serata in discoteca o a mangiare un’intera torta di cioccolato per amore dello sport che praticano, qualunque esso sia.
In molti si chiedono come un ventenne possa preferire andare a dormire alle 22 un sabato sera, in vista della partita della domenica mattina, piuttosto che uscire con gli amici per andare a una festa … devo dire che la risposta è molto semplice: quando inizi un’attività sportiva, se la ami seriamente prendi un impegno con te stesso prima ancora che con l’allenatore o i tuoi compagni di squadra, e quindi è normale voler far bene anche se questo comporta dei sacrifici; sai che se inizierai a farti vincere dalla pigrizia o da altre tentazioni, ciò avrà ripercussioni sul tuo futuro, perché quando ti si presenteranno le numerose fatiche che la vita pone davanti, memore di quando da giovane hai rinunciato, avrai perso in partenza e rinuncerai anche quando avrai quarant’anni, perché se non sei stato capace di impegnare te stesso in una corsa, negli esercizi di tecnica con la palla o nei 200 metri da nuotare a delfino, come potrai far fronte a sfide ben più gravi come un licenziamento o un lutto? E come farai a realizzare i tuoi sogni se non sei stato capace di faticare e tenere duro nemmeno quando avevi solamente un crampo o ti faceva male un ginocchio?
Lo sport è questo: oltre che un gran divertimento è un mezzo formativo, che se affrontato seriamente aiuta a prepararsi per la vita, in quanto i punti in comune tra una partita di basket, una gara di atletica o una schiacciata a pallavolo, e la vita di tutti i giorni, sono molto più di quelli che si potrebbe pensare.
La grinta che metti in un contrasto, lo scontro anche psicologico con l’avversario e la cura dei dettagli per primeggiare sugli altri sono aspetti fondamentali in una pratica sportiva che possono essere tranquillamente traslati nella vita quotidiana, al di fuori della piscina, del rettangolo di gioco o della pista di pattinaggio; lo sport ti educa a riconoscere i meriti dell’avversario, a saper riconoscere le proprie colpe quando si è stati battuti e ad impegnarsi ancora di più per migliorare dopo una prestazione deludente, e se ci si pensa bene queste sono qualità fondamentali nell’arco della propria esistenza. La sconfitta contro i rivali di sempre può essere paragonata, con le dovute proporzioni, al fallimento della propria azienda o anche ad un divorzio, e quando si riceve un tale colpo le opzioni sono due: o molli e cadi in un baratro senza fondo, oppure ti rimbocchi le maniche e impari dalla sconfitta, pronto a tutto per non dover rivivere un momento del genere; rimboccarsi le maniche è sicuramente faticoso, sarebbe più facile piangersi addosso, eppure ciò che lo sport ci insegna fin da giovani è fare fatica, è riprovare, è credere che dopo una caduta ci si possa rialzare.
Il bello dello sport è che ti insegna anche la collaborazione con gli altri e la fiducia in chi ti sta accanto. Nell’era dell’ “io”, in cui si tende ad esaltare sempre e solo il singolo, il lavoro di squadra che lo sport impone è un dono da non sprecare. Se sei intelligente capisci che anche se sei il bomber della squadra, quello dotato di più talento, non saresti nessuno se il tuo compagno non ti facesse un cross preciso, se il tuo difensore non controllasse gli avversari nel caso il tuo dribbling non riuscisse e se il tuo capitano non ti motivasse dopo un rigore sbagliato; Michael Jordan, a tale riguardo, una volta disse: “Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati”. Questo discorso vale anche per gli sport erroneamente definiti “individuali”, perché è vero che Michael Phelps e Usain Bolt sono fisicamente da soli in vasca o in pista, ma è anche vero che se non si fidassero del loro allenatore, oppure non fossero seguiti dallo staff che cura la dieta, o non ci fosse una ditta che fabbrica il costume o le scarpette, nemmeno due grandi campioni come loro non sarebbero potuti arrivare dove sono arrivati.
Chi, dunque, è stato spronato dai propri genitori da piccolo a iscriversi a una disciplina sportiva, li ringrazi infinitamente, perché gli hanno fatto un dono immenso che lo aiuterà in tutta la sua esistenza, anche se magari ogni tanto non ce ne si rende conto e si preferirebbe bere una birra con gli amici piuttosto che fare quindici chilometri di corsa e un’ora di palestra.
Fare sport non significa per forza arrivare in serie A o alle Olimpiadi: fare sport significa dare il meglio di sé, impegnarsi, divertirsi e tentare di vincere la sfida contro se stessi prima ancora che quella contro l’avversario, perché la celebre frase di Boniperti “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” forse sarà vera per chi fa lo sportivo come professione, ma a livello amatoriale e dilettantistico, l’unica cosa che conta è ricevere un bagaglio di ricordi, insegnamenti e emozioni dall’attività che si svolge, un bagaglio che, quando penseremo di aver toccato il fondo nella nostra vita, sarà in grado di farci ricordare che dopo una caduta ci si può rialzare, che la fatica che facciamo è ai fini di una gioia immensa, che il nostro obiettivo, se ci impegniamo, anche attraverso mille difficoltà e complicazioni può essere raggiunto, a patto che, come ci insegna il vero sport, quello fatto di sudore e graffi, non si perdano le speranze, e a patto che, come spiega Kobe Bryant ripensando ad alcuni aspetti della sua magnifica carriera da cestista giunta ormai al termine, non si molli mai.
Questo insegna lo sport. Questa è l’eredità che ci lascia se durante la nostra “carriera” lo abbiamo affrontato con passione e correttezza. Questo è il motivo per cui ci si lascia trascinare nel turbinio di emozioni della competizione sportiva. Questo è il motivo per cui si gioca: perché lo sport è strumento per l’uomo; lo sport è strumento per la vita.