2008_wydParlare dello Spirito Santo risulta sempre ostico, forse fuori moda, apparentemente riservato solo agli addetti del settore, relegati a biblioteche di sapore vaticano.

Eppure ne facciamo esperienza in modo molto più concreto di quanto siamo abituati ad immaginare a prima impressione. Ricordo ancora adesso l’omelia della Messa della Cresima di mia sorella, nella quale il vescovo (di cui invece non ricordo il nome: ahimè, è il triste destino degli autori, che hanno sempre vita più breve delle loro opere, anche nella mente di chi ne ha apprezzato l’operato!) faceva notare come i fratellini piccoli sapessero dire solo “mio”, ricercassero il possesso, e fossero (lo dice la pediatria e la psicologia dell’età evolutiva) egocentrici.  Al contrario, il sacramento della Confermazione, coi suoi doni, dovrebbero sancire l’ingresso nella maturità della fede e non solo. E lo sintetizzava con la capacità di dire “tuo”. E in realtà, con parole semplici, aveva pronunciato una verità davvero molto profonda. Saper dire “tuo” è l’inizio della condivisione, della capacità di donare, di mettersi in discussione. È la fatica di un passo indietro, per lasciarsi interrogare dall’(A)altro, per uscire dal guscio e mettere a disposizione del mondo intero ciò che di più prezioso abbiamo. E, molto spesso, non ci accorgiamo che ciò che di più prezioso abbiamo è… noi stessi! Sì, noi stessi con le nostre fragilità e paure ma non solo: noi stessi con le nostre potenzialità, capacità, doni di natura, attitudini, passioni, interessi. Magari quegli stessi interessi che i nostri genitori considerano capricci e i nostri amici “fissazioni”… magari proprio quelli si rivelano la chiave di volta per creare qualcosa di bello, di grande, di vero, capace di unire le anime e portare un po’ di speranza.

 

Pensiamo alle grandi cose, ai grandi santi, alle grandi imprese. Dimentichiamo la straordinarietà dell’ordinario, la ricchezza del quotidiano, l’inverosimiglianza di un amore che abbia il sapore di Dio, perché sa essere costante e assoluto. Paziente, misericordioso e perseverante, capace di farti sentire in un abbraccio rassicurante. Penso alla dedizione di tanti genitori o fratelli o sorelle che non si sono ritrovati a condurre una vita facile, ma non per questo hanno perso il sorriso e, anzi, hanno saputo moltiplicare la gioia come ogni singola scheggia di diamante sa moltiplicare la luce riflessa.

«Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l’ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell’agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell’Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia»(1). Queste le parole di Benedetto XVI il 20 agosto 2005, durante la veglia nella spianata del Marienfeld, davanti a circa un milioni di giovani di tutto il mondo.  È consolante, sì: il ricordo che ancora adesso alberga nel mio cuore è fortemente legato a queste parole. Parole di speranza. C’è posto per tutti… non ci sono selezioni preliminari, non bisogna adeguarsi a chissà quali condizioni, rispondere a chissà quali aspettative. L’immagine della famiglia credo sia altamente significativa: siamo grandi abbastanza per capire che non esiste nessuna famiglia “Mulino Bianco”, ognuna ha i suoi scheletri nell’armadio, le sue ferite, le sue contraddizioni, i suoi periodi bui. Eppure, nell’amore, riescono spesso a trovare un’unione più forte di ogni avversità, fatta per lo più di gesti semplici e poche parole. C’è posto per tutti.. a suggerire che lo Spirito ancora oggi suggerisce qualcosa di nuovo a chi voglia ascoltarne la voce.

Sentire queste parole ad una Giornata Mondiale della Gioventù è il simbolo della fiducia del Papa nei giovani. Giovani che sa capaci di generosità, di dono, di entusiasmo, di intraprendenza, a volte di grande ingenuità. Ma è bello vedere quanta passione sappiano mettere in un progetto: spesso la differenza è proprio nella capacità di incanalare le proprie energie per qualcosa che sia veramente grande, bello, vero, degno dell’offerta del proprio tempo e delle proprie forze.

Forse, al contempo, proprio la GMG è diventata anche il simbolo del grande difetto dei  giovani: l’incostanza. È poco furbo pensare che tutto possa risolversi in una settimana di vacanza insieme, ma è poco onesto pensare si tratti della vacanza dei cattolici ricchi… innanzitutto perché di riposante ha ben poco: all’insegna del cammino, della sveglia presto e del momento di coricarsi sempre incerto, non garantisce affatto relax!  Festa della fede, dei colori, della musica, promette incontri, riflessioni, fatica… ma certo, è illusorio pensare che un’adunata oceanica possa rafforzare la fede.  Non basta, da sola. Richiede quella costanza tanto difficile e tanto impegnativa da mettere in pratica. È necessario che sia vissuta “al ritorno a casa”, che sia, cioè incarnata nella vita quotidiana: dev’essere un’occasione speciale, un seme da far germogliare nella vita di tutti i giorni. Solo così porterà davvero frutti, e frutti buoni non di zizzania.

Sia questo l’augurio con cui accompagnare i tanti giovani che dalle parrocchie di tutto il mondo si dirigono verso la Spagna!

 

(1)Estratto dall’omelia di Papa Benedetto XVI in occasione della veglia coi Giovani alla spianata del Marienfeld, il 20 agosto 2005

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