Un giorno una vite disse al contadino: "Perché mi stai venendo vicino con quelle
forbici? Buttale via: non sai che adesso i tempi sono cambiati?". "Già – rispose il contadino – A pensarci bene, non hai torto. Non sono più i tempi di una volta!"
E così non la potò.
Ma in autunno la vite non ebbe uva. Vennero gli amici
per assaggiare il vino nuovo e il padrone della vigna disse sconsolato: "Non c’è vino nuovo. I tempi sono cambiati…".
Il problema è d’elementare spiegazione. Se l’amore è
quello scarabocchiato dai nostri ragazzi sulle pietre dei ponti, sulle carrozze
dei treni o i graffiti con cui incavano la tela dei loro zaini, possiamo
continuare a dormire sonni tranquilli. Ma almeno sappiate che nella Scrittura tutto
ciò è paragonato alla vacuità della pula che il vento disperde: "Sei la mia toporagna", "Solo a
pensarti mi vengono i brividi", "Stefano
ti voglio: accorgiti di me", "Amore,
per me sei diventata una droga", "Oggi
facciamo un mese e ti amo da una vita". Provate ad immaginare per un solo
istante – non due altrimenti ci mettiamo a ridere come dei forsennati – il
profeta Osea, profeta che con l’amore ha avuto più di un conto in sospeso,
imbattersi in qualcuno di questi pruriti d’amore. Anche questa domenica avrebbe
di che ridire. La sua denuncia sulla capacità d’amare dell’uomo è terrificante:
"Il vostro amore è come una nube del
mattino, come la rugiada che all’alba svanisce" (Os 6,3-6). Cioè: è una
passerella esibizionistica, formale, da associazionismo! Come dargli torto? E’
un modo gentile, educato e teneramente elegante per dirci: "gente, spiace dirvelo: ma l’amore è qualcosa di serio". E Osea
imbratta tutta la sua veemenza quando l’uomo tenta di amare Dio allo stesso
modo con cui ama le donne assieme alle quali gioca e si diverte, s’intrallazza
e si riposa, scopa, sogna e distrugge. Per poi esaurirsi. Lì le sue parole feriscono
con la destrezza e la velocità funerea di un tradimento inaspettato: "Affrettiamoci a conoscere Dio". Motivo:
"La sua venuta è sicura come l’aurora".
E all’amore dell’uomo – nube evanescente – sostituisce l’amore che chiede Dio.
Che è "come la pioggia di primavera che
feconda la terra." Cioè amore esigente e duraturo, conquistato, sofferto e
produttivo. Stupendo, faticoso e salato. Finito il tempo dei "tutto bene, grazie" che la gente si
regalava come sonnifero ai tempi del Geremia profeta. E che ancor oggi si
vendono sui sagrati di troppi templi. Ormai la sentenza è emessa: "voglio l’amore, non il sacrificio".
Voglio la passione non la burocrazia. La follia, non la compostezza. L’urlo
innamorato, non il russare rincitrullito. Le lacrime di una madre, non quelle
di un coccodrillo. E’ un Dio amareggiato, questa domenica, perché il suo popolo
è una ciurma di superficiali, incostanti, vacui, leggeri. E’ un popolo ambiguo:
che scambia l’amore per Dio con quello per il cagnolino che porta a spasso. O
per la donna che tenta di truffare tra le lenzuola.
Ne sa qualcosa Matteo, al
secolo burattinaio stipendiato di un sistema politico truffaldino. Sempre la
stessa minestra: tasse e sovra-tasse, strozzinaggio e galanteria, riverenze,
appalti e strapazzamenti. Matteo è come l’uomo d’oggi: non avverte più i sensi di colpa, cioè non è più spronato
a vedere quanti km ci sono tra il suo essere e quello che vorrebbe essere.
Nemmeno si vergogna: perché quando si vive tra persone che attingono allo
stesso abbeveratoio, non s’avvertono tormenti interiori. Dimmi: ti vergogni di
dormire quando tutti dormono? Di rubare quando tutti rubano? Di sparlare quando
tutti sparlano? Di non far nulla quando nessuno muove dito? Di giocare al
minimo quando vivi con gente rassegnata? Di essere mediocre quando sei in una
squadra di mediocri? Matteo da truffatore è salito alla santità perché avrebbe voluto fare di più, avrebbe
voluto essere migliore. Ma non ci riusciva: sapeva di avere una faccia originale ma lo pagavano perché non la
mostrasse. Come sono uguali i tempi! Ma lo Spirito non è una scacchiera, non lo
sposti a tuo piacimento. Qualora ci provassi, ti gioca un tiro mancino: "Mentre andava via, Gesù vide un uomo,
chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte e gli disse: Seguimi!" (Mt 9) Vogliamo tradurla? "Matteo, smettila di esser un cero
acceso, e riattacca la tua spina dorsale!" Cioè: amami con il cuore, Matteo. Le
formalità lasciale a Cesare. E ai tutti i suoi successori: che saranno numerosi
come le stelle del cielo e come la sabbia sulla spiaggia del mare. Per tutti i
secoli dei secoli. "Ed egli si alzò e lo
seguì". Iniziò così l’avventura: pure lui dentro quel ginepraio di
personalità che il Nazareno andava raccattando. Caratteri ben definiti,
personalità forti e spiccate, volti inconfondibili, temperamenti di varia
natura. Si guardava bene dal farli ingabbiare in un unico stampo. Immagina che
noia dodici fotocopie di uomini pronti al servilismo? Uno grida: "in piedi". E tutti in piedi. "Seduti!" E tutti seduti. "Correre!" E tutti di corsa. "Vestiti!" E tutti in clergyman. "Vota questo" e tutti a votare il
vicepresidente della loro amministrazione. Avesse intuito tale proposta, pure
Matteo se ne sarebbe stato sul muretto della chiesa, a tirar calci al portone
di bronzo con affisso il nome di chi l’ha offerto. S’è alzato, invece, perché
ha intuito subito che quell’uomo era intrigato dalla diversità. Aveva
sperimentato che chi fa, qualche volta sbaglia. Chi non fa, sbaglia in
continuazione. Basta guardarli all’opera per notare tutte le loro spigolosità,
la loro rozzezza, la selvatichezza, le estrosità, le manie, le eccentricità. Un
Uomo che permetteva a tutti di essere liberi nella più stupefacente diversità,
freschezza, libertà. Matteo parte e il Caravaggio pittore gli ha riservato un
raggio di eterna lucentezza. Parte, ma dimentica lo sgabello! Maledetta dimenticanza! In troppi si
sono affrettati ad occuparlo. Erano in troppi a contenderselo: ne hanno
fabbricati altri. In serie. Tutti uguali. E per rasserenarsi si sono convinti a
vicenda che Matteo aveva capito male. Il Maestro urlò: "Seguimi", ma loro vollero capire "siediti". L’avevano letto come un invito a star sereni, calmi. A
non provocare. E così, anche tra i chiamati, nacque il club dei "polli allevati
in batteria". Come fossero fabbricati con la stessa pasta, stessa ricetta,
stessi ingredienti. Cotti nello stesso forno, dentro lo stesso stampo, col
medesimo tempo di cottura. Il Bernanos scrittore parlerebbe di "piccoli chierichetti vagabondi che
s’immaginano di lavorare più degli altri perché non vengono a capo di nulla.
Piagnucolano invece di comandare. Leggono un mucchio di libri senza arrivare a
comprendere la Parola
dello Sposo e della Sposa". Matteo, stante la rassicurazione del Vangelo,
c’aveva la sua personalità. Non volle mortificarla, seppe reggere alle
strutture che lo battagliavano. Ebbe il coraggio di portare in giro la sua
faccia originale!
Parafrasando il titolo di
un celebre film, si potrebbe dire: "Dio
ha bisogno dei pazzi". Son rimasti gli unici a capire il suo progetto! E’
storia vecchia: in mezzo ai troppi sapienti, Dio sceglie sempre un idiota che divenga suo poeta.
Il motivo
per cui ogni mattino mi sento bene quando mi guardo allo specchio!
Per
Padre Lebret
una delle più grandi sofferenze è quella di constatare l’assenza di follia tra
i cristiani, quasi tutti ammalati di eccessiva prudenza. Ai giovani che si
presentavano davanti a lui per essere accolti nelle sue équipes, poneva
una semplice domanda: "Siete pazzi?"
Un
pazzo!
Ecco il miracolo urgente da chiedere a Dio in parrocchia!