Butterfly attesa 2

«Iddio, son persuasa,/ ben più presto risponde a chi l’implori/ Ma temo ch’egli ignori/ che noi stiam qui di casa» (G. Puccini, Madama Butterfly, atto secondo). È il canto doloroso di chi non sa trovare via d’uscita. Di chi aspetta, di chi sospira, ma sa già che la propria resa è vicina. Dio dov’è? Appena nominato, è già chiamato a processo: perché non vieni in mio soccorso? Hai dimenticato dove vivo? perché vivo? Torna Giobbe con le sue domande devastanti, figlie di speranze andate a male: «Perché dare la luce ad un infelice e la vita a chi ha amarezza nel cuore?» (Gb 3, 20). Giobbe che sa parlare come fossimo noi stessi perché ci somiglia. Conosce il dolore e non lo vuole, anche quando, inizialmente, sembra accettarlo. Come ognuno di noi. E, Tu, Signore, dove sei?
Aspetta ancora un attimo.
Ascolta ancora una volta.
Tu, creatura sulla soglia della disperazione, non cedere ad un silenzio doloroso, ad una parola sprezzante, ad un addio risoluto. A breve, il vagito della Parola Eterna fatta bambino risuonerà di nuovo per le strade disastrate delle esistenze umane: si farà mani e piedi, alito e sorriso, luce e pane. Porterà quello che abbiamo sperato senza saperlo, nascosto com’era sotto strati di smanie ingannevoli e struggimenti fallaci.
La vita è una nave che tarda ad arrivare e quando entra in porto conduce un dolore. Ma Qualcuno l’ha presa così com’era, com’è. Ci ha preso così com’eravamo, come siamo. Perché «Ti ama così, per abbracciarti, baciarti, perdonarti» (Papa Francesco, Meditazione a Santa Marta, 8 Gennaio 2016). Perché quel Dio che chiamiamo a processo, non vuole processarci, anche se lo meritiamo: vuole prima di tutto starci accanto e amarci.
«Un bel dì vedremo…» (G. Puccini, Madama Butterfly, atto secondo). Le attese dell’uomo stagnano su orizzonti limitati, serrati dalla paura, offuscati dalla disillusione. Si straziano in desideri inconsistenti e culminano spesso nelle morti interiori. Tutto quello che di bello desidera il nostro cuore si smarrisce tante volte in sentieri oscuri.
«Vedrai cose maggiori di queste!» (Gv 1, 50). Dio ci conduce verso altre attese, verso l’attesa dell’Atteso tra le genti. Lui apre orizzonti infiniti dove lo sguardo spazia, nitido e sicuro. Quando ha preso carne, venendo fuori dal ventre della Madre e dormendo in una mangiatoia, noi – con gli occhi degli angeli e dei pastori, il nostro sguardo misto di visione celeste e intuizione terrena – abbiamo visto che la speranza ha un contenuto, e su di essa le piccole speranze possono poggiare: «Questa grande speranza può essere solo Dio […] Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge […] E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è “veramente” vita» (Benedetto XVI, Spe Salvi, 31).
Il canto desolato si scioglie in un inno.

Grazie, Amore, perché nascerai presto, ancora una volta, in mezzo a noi.

Buona settimana!


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