All’udire della morte del dissidente cinese Liu Xiaobo, ho avuto un sussulto. Sgombro subito il campo da ogni incertezza: non lo conoscevo affatto. E questo ha accesso in me il rimorso dell’ignoranza. Perché non conoscere non tanto la persona, quanto l’opera, che ha compiuto chi ha deciso di non sottostare alla prepotenza di un regime, qualunque esso sia, pur di rimarcare l’importanza e l’irrinunciabilità della libertà di pensiero e d’espressione, quale massima forma della dignità dell’uomo, è e sarà sempre una grave omissione. Lungi dall’essere mero animale, sottoposto unicamente ai propri istinti, in virtù della ragione che possiede, l’essere umano si muove verso le più alte vette del pensiero e solo la paura può farlo recedere dal proseguire attraverso percorsi personali ed originali. È infatti, per così dire, innata, nell’uomo l’esigenza di esprimere se stesso, ciascuno secondo ciò che gli è più congeniale: per il bambino lo strumento può – paradossalmente – essere proprio il capriccio, per l’adolescente, spesso è la musica o lo sport, per l’intellettuale, il più delle volte, si fa irrinunciabile necessità la divulgazione ed il confronto del libero pensiero. Perfino quando la sicurezza personale e la prudenza dovrebbero consigliare comportamenti di segno opposto.
Liu Xiaobo è solo un altro nome, che si aggiunge ad una lunga lista di “martiri del pensiero”, ma è bene ricordarlo, nonostante la Cina ci appaia un posto lontano, magari suggestivo, ma profondamente differente dal nostro panorama europeo. Chi è dunque quest’uomo, degno compare di San Giovanni Battista, San Tommaso Moro, Edith Stein, Roj Aleksandrovič Medvedev, Dietrich Bonhoffer o la Rosa Bianca?
Liu Xiaobo, intellettuale, docente e scrittore, nasce il 28 dicembre 1955 e muore il 13 luglio 2017. La differenza, come spesso accade, è nel tempo trascorso nel mezzo, nel quale si è speso per la promozione di riforme e la salvaguardia dei diritti umani. È stato incarcerato nel 2008, a seguito della firma del documento «Charta 08», per il quale è stato accusato di “istigazione al sovvertimento dello Stato”, che gli è valsa una condanna ad undici anni, che avrebbe integralmente scontato, se un tumore non se lo fosse portato via anzitempo.
Che cosa si chiedeva dunque, in questo documento? Diverse richieste che infastidivano il governo cinese. Come, ad esempio: modifiche in senso democratico alla Costituzione della Repubblica popolare cinese; separazione dei poteri; democratizzazione del potere legislativo; Indipendenza del potere giudiziario; possibilità per i cittadini di controllare l’operato degli amministratori; rispetto dei diritti umani; elezione (dal basso) e non più nomina (dall’alto) dei funzionari pubblici; equilibrio tra ambiente urbano ed ambiente rurale;libertà di associazione; libertà di riunione; libertà di espressione; libertà di religione; educazione civica; tutela della proprietà privata; riforma del sistema fiscale e tributario; sicurezza sociale; protezione dell’ambiente; passaggio alla repubblica federale; istituzione di una Commissione della verità e della riconciliazione.
Queste erano le “rivoluzionarie” richieste della «Charta 08»: il solo leggerne l’elenco credo risulti esaustivo di cosa mancasse nel 2008 al popolo cinese, tanto da spingere più di trecento intellettuali a redigere un documento tanto compromettente, pur di lottare per la libertà. Non solo: il governo cinese, tuttora, avversa apertamente anche le più elementari libertà d’espressione, dal momento che continua a redigere leggi sempre più restrittive nei confronti della Rete (ad esempio, recentemente, con la connivenza della Apple, secondo le leggi in vigore nel Paese, l’iCloud non sarà più controllato da Cupertino, bensì, da un megaserver, controllato dai cinesi). Nel frattempo, il regime oscura ogni notizia su di lui, comprese le discussioni aperte online e metà del Paese è totalmente all’oscuro che egli sia morto in ospedale per cancro al fegato. Pare proprio che il governo cinese non si accontenti dell’accanimento su di lui da vivo, ci tiene ad offuscarne persino la memoria, arrivando ad affermare che il Nobel per la Pace del 2010 (assegnatogli in contumacia, poiché già recluso) sia “una blasfemia”.
L’Occidente del resto, pare non si sia particolarmente prodigato per lui e per i diritti umani in Cina, dato che si è ricordato solo ora, alla morte del marito, della detenzione, contraria ad ogni diritto umano della moglie Xia, incarcerata unicamente in quanto fedele compagna di un dissidente.
Mi è venuto spontaneo pensare a Dante e alle parole d’incoraggiamento che gli rivolge il suo avo Cacciaguida, incontrato nel diciassettesimo canto del Paradiso: non è solo la descrizione di Dante, ma anche quella di ogni intellettuale che cerchi di essere onesto e creda veramente nei propri ideali.
«Coscienza fusca
o de la propria o de l’altrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua vision fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’è la rogna.Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta.Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa d’onor poco argomento.
(Dante, Paradiso, Canto XVII, vv. 124 – 135).
È impossibile non sentirsi piccoli piccoli, di fronte a storie come quella di Liu Xiaobo, soprattutto, ripensando ai nostri piccoli calcoli strategici su cosa dire e cosa invece tacere, per il nostro miglior interesse lavorativo e sociale. Perché, pur non essendoci un vero e proprio tribunale per il reato d’opinione in Paesi come il nostro, è altresì vero che è sempre in agguato lo stigma collettivo, quando non sei allineato al pensiero comune (quello che è considerato giusto dall’élite culturale che segue la moda attuale).
La realtà è che, in ogni luogo, la vera ed autentica libertà d’espressione è sempre un ideale da perseguire con fiducia e speranza – e non una realtà già in atto -.
Il motivo lo analizza molto significativamente, Francesco Scisci, editorialista di Asia Times, in un’intervista rilasciata di recente a Il sussidiario : oggi nessuno scenderebbe più in piazza a protestare per la mancanza di libertà o la privazione di fondamentali diritti umani, come a Tienanmen, nel 1989. Qualche soldo in più ha comprato il silenzio: la libertà, d’altronde, ha sempre richiesto un tributo in coraggio e sacrificio, che non tutti sono disposti ad offrire.
«Se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire» (George Orwell). Dovremmo ricordarcelo tutti: sicuramente, a partire da giornalisti ed operatori del mondo dell’educazione, ma anche ogni altra persona.
Perché a ciascuno è chiesto di veicolare la verità di cui viene a conoscenza. Soprattutto, se è scomoda.
Non facciamo il gioco di chi vuole tenere in scacco la libertà, non facciamoci fregare: diffondiamo notizie come questa!
Fonti
Repubblica: morte di Liu Xiaobo, prima o poi l’occidente dovrà dire da che parte sta
Il fatto quotidiano: Liu Xiaobo, dopo la morte dello scrittore appello per la moglie Liu Xia
Ansa: Cina, è morto il Nobel Liu Xiaobo
Corriere.it: video, addio a Liu Xiaobo
Internazionale: morto Liu Xiaobo, pacifista
Repubblica: anche sulla morte del dissidente, l’ombra della censura
RIEPILOGO DEGLI ULTIMI ARTICOLI PUBBLICATI:
“Sei una contadina!” Che complimento, signori!