Dalle intercettazioni sta uscendo un catechismo riaggiornato della vita nascosta di don Riccardo Seppia, parroco genovese dalle abitudini eclettiche in viaggio tra sesso, palestre e stupefacenti. E’ il volto di una fetta di Chiesa che lentamente sta emergendo in questi anni bui: forse siamo davvero all’inizio di un cammino di purificazione della memoria che ci costringe a prendere atto di una storia compromessa e compromettente interna alla Chiesa. Tanto s’è detto, scritto e riflettuto sul sacerdote genovese – non certamente l’unico con questi passatempi originali -. A stupire è la riflessione del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova nonché Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cioè il capo di tutti i vescovi. La sua riflessione è disarmante nell’ingenuità che manifesta: “dolore tanto più sconvolgente perchè improvviso e inatteso, perchè nulla lo lasciava presagire ai nostri occhi”. Un’affermazione che merita d’essere snocciolata.
Che il dolore sia sconvolgente è il minimo che si possa affermare, ammesso che davvero lo sia di questi tempi nei quali tali crimini sembrano diventare il companatico quotidiano di una frangia ecclesiale sempre più incapace di tenere a bada l’ecletticità del loro ministero. Il fatto che di tale situazione – già nota da tempo alle Forze dell’Ordine e nei tabulati delle intercettazioni – si dica che “nulla la lasciava presagire” lascia tanto più sbigottiti quanto il fatto che a dirlo sia il capo dei vescovi italiani. Uno dei compiti fondamentali di un vescovo è quello di conoscere i suoi preti: incontrarli, parlarci, seguirne le tracce del loro ministero, incoraggiarne l’evoluzione positiva delle intuizioni. Come fa un vescovo (a patto che si prenda cura dei suoi preti) non accorgersi di una vita nascosta così complicata, becera e compromessa fino a quel punto? Le pupille dilatate di uno sguardo lasciano presagire qualche sospetto anche nella madre più ingenua. Non è che di molti preti oggi si badi a lavarsi le mani appena sono stati mandati ad occupare uno dei posti rimasti liberi nel territorio di competenza del vescovo? Nulla giustifica l’abominevole pastorale infantile firmata da questo confratello, ma forse a monte ci sta anche un abbandono umano e spirituale che a qualche teologo ha fatto pure rileggere il destino di quel Giuda evangelico troppo presto bollato come bastardo liberando dalla responsabilità morale gli altri discepoli. Un prete solo, a maggior ragione in questo contesto culturale, è sempre un prete potenzialmente a rischio. Perchè anche laddove c’è una vita di preghiera e di fede un cuore necessita anche di piccole attenzioni e di non sentirsi dimenticato. Pena la dispersione dell’anima.
La seconda considerazione è una constatazione che ormai appare sempre più manifesta e lapalissiana. Quando nel 1517 Martin Lutero ruppe con la Chiesa Cattolica e firmò lo scisma, tutti seppero (anche nei secoli a venire) quali erano stati i motivi di tale gesto: bastava affacciarsi alla cattedrale di Wittemberg e leggere le 95 tesi ivi affisse. Fu un dramma ma almeno era chiara la situazione. Oggi l’episodio di don Riccardo (solo l’ultimo di una lunga serie ancora lunga a dirsi conclusa) mostra l’esistenza di uno scisma nascosto che è infinitamente più pericoloso di quello di Lutero: sotto un’apparente obbedienza e correttezza formale (guardate bene le foto impeccabilmente sacerdotali che ritraggono don Riccardo e altri casi simili) sta nascosto come un fiume carsico un vivere strapazzato e scoraggiante. La situazione è drammatica per chi non accetta di appoggiare la “teologia dello struzzo” (o insabbiamento, ndr): perchè la formalità del comportamento non sempre attesta anche la verità di una vita.
Che un cardinale pecchi di tale ingenuita, è cosa urgente su cui riflettere.
Attutita solamente dall’immediatezza della presa di responsabilità.