investimenti a prova di coscienza 7666Siamo tutti gelosi della nostra libertà: lo proclamiamo a gran voce, lo ribadiamo, lo sottolineiamo. Vogliamo poterla esercitare, in tutte le forme possibili e immaginabili.
A costo di “farci male”.
Dimentichiamo infatti l’insegnamento di S. Paolo: «Tutto è lecito? Sì ma non tutto giova!» (1Cor 6, 12). E ci sono cose che si rivelano dannose alla prova dei fatti, magari non nell’immediato ma “il tempo è il miglior giudice di tutto”: non fa torti a nessuno, non è fazioso né parziale. Ogni azione porta, diligente, alla conseguenza inevitabile che le è propria. Non risente di ideologie, indottrinamenti né delle mode del momento. Sa aspettare: la vita stessa porta i frutti di quanto si è seminato. E a volte sono al limite dell’orrorifico. Anche se non dovrebbe stupire: così come ogni contadino sa che le sue azioni, solo se sono mirate, studiate, indirizzate al risultato che vuole ottenere, saranno anche efficace. Ciascun uomo e l’umanità intera sono artefici del proprio destino: nessun uomo è un’isola, nessuna sofferenza può essere in completa solitudine, perché siamo come un’enorme network di umanità, impercettibilmente ma ineluttabili collegati tra di noi. Così si parla del Corpo Mistico della Chiesa. Ma mi sembra inevitabile pensare che esista anche una fraternità universale (ecumenica) che ci coinvolge tutti – nessuno escluso – nella condivisione di un bagaglio di umana ricchezza composta non solo di oggetti, ma, soprattutto, di conoscenze e – ancor più – di emozioni, sensazioni, sentimenti, desideri, motivazioni, aspirazioni, sogni. Intimamente uguali e al contempo profondamente diversi, siamo chiamati alla realizzazione personale, ma scopriamo giorno dopo giorno che essa può avvenire solo in comunione con gli altri. Perché nessuno può essere felice da solo: la gioia si moltiplica solo condivisa (operazione che non impoverisce nessuno, ma arricchisce tutti!).

Per il cristiano, come ha avuto modo di ricordarci Papa Francesco durante l’ultimo Angelus, la ricerca della propria realizzazione non può eludere il rapporto con Dio. La coscienza diventa duqnue luogo privilegiato di ascolto per interrogarsi su quale sia la volontà di Dio per compiere la nostra personale felicità e il nostro pieno compimento:

Gesù non vuole né cristiani egoisti, che seguono il proprio io, non parlano con Dio; né cristiani deboli, cristiani, che non hanno volontà, cristiani «telecomandati», incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi con la volontà di un altro e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero, non è libero. Per questo dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace… Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele. Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire.

Se Dio è parte della mia vita, ne consegue che non è possibile escluderlo, a maggior ragione dalla scelte più importanti. Ecco perché – ad esempio – per un cristiano suona insensato il discorso secondo il quale il matrimonio non abbia senso perché l’amore è intimo e personale, riguarda solo la coppia e non necessita di essere ratificato dal patto matrimoniale. Tralasciando il fatto che a livello sociale la coppia implica la – quanto meno potenziale – opportunità di mettere al mondo dei figli (ciò rende l’amore coniugale necessariamente “comunitario”) e persino la definizione dottrinale che ne fa un sacramento, per chiunque ritenga importante il rapporto con Dio, credo diventi in un certo senso ineludibile la dimensione sacra e sacramentale dell’unione coniugale. Specie in un’epoca come questa, tanto funestata dall’instabilità, unire due vite in modo indissolubile pare una scommessa quasi anacronistica. Come potrebbe il credente escludere Dio proprio da questa dimensione della propria vita, che andrà a condizionarla, nel bene e nel male, a partire da quel momento?
La sequela di Cristo è caratterizzata dalla libertà di scegliere, in ogni momento. Come sottolinea Papa Francesco nel succitato Angelus:

Gesù dice anche ai suoi discepoli, incaricati di precederlo sulla via verso Gerusalemme per annunciare il suo passaggio, di non imporre nulla: se non troveranno disponibilità ad accoglierlo, si proceda oltre, si vada avanti. Gesù non impone mai, Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. L’umiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone.

Tuttavia, per evitare di creare confusione, è bene suddividere la sequela in due momenti: la formazione e l’età adulta.
Dopo varie esperienze di letteratura psicologica che invitavano in modo più o meno implicito a non dare regole ai bambini, ritenendo che questi siano perfettamente in grado di gestirsi da soli, stiamo riscoprendo quanto sia strenutamente necessario riscoprire il coraggio e l’audace indispensabilità dei “no” detti a modo e tempo opportuno. Non si tratta di prese di posizione austere o autoritaristiche, scisse dalla realtà. Si tratta piuttosto della necessità di tracciare una strada, di mettere dei paletti, di delimitare la via, per dare un esempio. L’obiettivo non è quello di creare copie tristemente fedeli all’originale oppure di evitare al soggetto in formazione la possibilità di errore (anche perché nessuno dei due obiettivi è umanamente possibile!).
Si tratta di dare un esempio, motivo per il quale le parole sono più incisive ed efficaci se accompagnate dalla concretezza dei fatti. E, in particolar modo nell’adolescenza, i “no” sono fondamentali: il ragazzo ha bisogno di un “muro” contro il quale provare la propria forza; se non si trova ad affrontare una prova di forza, ma incontra una porta spalancata, è la sua crescita ad esserne penalizzata!
Le cose vanno diversamente quando il soggetto è emancipato e non più sottoposto al controllo genitoriale. E qui mi permetto un piccolo excursus riguardante il giudizio rispetto che spesso è emesso nei confronti di alcune scelte cristiane. È ideologico vedere queste ultime delle contrapposizioni a un sistema differente. Sarebbe più corretto dire che siano dei “sì” ad un sistema diverso dalla mentalità comune, basato sul Vangelo e dall’idea di Amore che viene dalla vita stessa di Gesù, che versa la sua vita per noi fino all’ultima goccia. Se ci pensiamo bene, ad esempio, è proprio dalla parola spondeo, dal latino “versare, offrire in libagione” è venuto il termine sposi. Quasi a sottolineare come lamore coniugale sia fatto di istanti quotidiani, versati l’uno nella vita dell’altro.
L’esempio del matrimonio ben si presta, del resto, proprio a capire quanto sia errata una prospettiva “in negativo”: nessuno si sognerebbe di descrivere il matrimonio come un “no” a tutte le altre donne, eccetto quella scelta (o, viceversa, per la moglie!). Anche se, in effetti, questo è il rovescio della medaglia. Tuttavia, com’è giusto (e ricordato da quel “sì” che simbolicamente racchiude il rito, il sacramento e la scelta matrimoniale), il matrimonio è soprattutto una scelta positiva nei riguardi di una persona specifica.
Parlando in generale, in età adulta, in teoria non dovrebbe servire alcuna coercizione. A mio avviso, lo Stato rischia infatti di essere un’inutile sovrastruttura, spesso troppo invadente, atta solo ad esasperare il cittadino. L’adulto (dal latino adultus, participio passato del verbo adulescere) è colui che ha smesso di crescere e ha quindi concluso la sua necessità di essere guidato da altri nelle proprie azioni. La coscienza, educata durante l’età della formazione, coadiuvata dal buon senso e, per chi crede, dalla preghiera dovrebbero essere gli unici criteri di scelta, nell’adulto; o, quanto meno, i principali canali attraverso i quali essa avviene.
Così tuttavia è evidente che non è. Nonostante i ripetuti e ossessivi (forse proprio perché non siamo sicuri di esserlo?) appelli alla libertà personale, si moltiplicano le iniziative volte a legalizzare, depenalizzare, rendere illegale ogni sorta di comportamente fino alla ridicola conseguenza di rimettere ogni ambito della propria vita al volere statale. Una sorta di totalitarimo autoimposto dal basso. Sfioriamo il ridicolo!
Soprattutto, non ci rendiamo conto di un dettaglio di primaria importanza. Possiamo tranquillamente pensare che sia compito dello Stato stabilire cosa sia giusto o sbagliare, imporre un giudizio morale e sostituirsi alla Giustizia e alla Verità. Possiamo anche ritenere che la dimensione morale sia ascrivibile alla Giurisprudenza.
Ma sarà solo un’illusione di poter ridurre e rimpicciolire la grandezza della dimensione morale alla mera superficie della legalità.
La legalità potrà anche avere una sua dimensione all’interno della vita dell’individuo, ma essa deve essere incommensurabilmente più limitata rispetto a quella riservata alla riflessione morale sull’uomo a livello universale.
Per quanto la legge possa avere un effetto educativo a livello sociale, essa non può e non deve mai essere sufficiente a descrivere e valutare un comportamento. Non è sufficiente definire legale un’azione, perché essa sia anche moralmente giustificabile, quando non addirittura meritoria.
La legge potrà rendere legali e addirittura auspicabili migliaia di comportamenti, ma sta alla mia coscienza personale ed educata ed al mio parlamento interiore deliberare l’approvazione o la riprovazione di quegli atti. È qualcosa a cui ciascuno è chiamato non solo in quanto cristiano, ma più universalmente in quanto individuo nato libero per volere di quel Padre a cui Gesù stesso si affidava per ogni sua decisione. Per poi seguirla; con dolce, risoluta fermezza.

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