Non finì a tarallucci e vin santo quella divisione dell’eredità tra i due figlioli di quell’uomo che, a fargli i conti in tasca, deve essere stato un uomo abbiente: ha servi, anelli, sandali, vestiti e un vitello grasso a disposizione immediata. Lui, a prescindere dalle stramberie che son tipiche dei figlioli, è il capo di casa: è lui a governare la casa. A dover gestire quell’esigenza ch’è tipica di chi si affaccia all’età adulta: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta» gli chiede il più piccolo. Il padre, senza batter ciglia, «divise tra loro le sue sostanze». Della serie: “Prendi pure, ecco: giocati la tua parte come meglio credi, è tua”. Il fatto è che non basta ricevere un’eredità perchè diventi mia: perchè possa diventare a tutti gli effetti mia, dovrò giocarmela in prima persona. Non ci potrà essere gioia senza la libertà, comunque: per questo «raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò tutto il suo patrimonio vivendo da dissoluto». È una cosa, lo spendere i soldi sperperandoli, nella quale sente d’esser professionista, un’eccellenza in questo tipo di gestione delle risorse. Il denaro, comunque, non basta a fare di un’esistenza imbecille un’esistenza ricca: non fa ricco nessuno, il denaro, se non si saprà spenderlo. Spendere e spandere, i verbi dell’allegrezza sfrenata: alla fine, poi, bisognerà rendere conto. All’inizio, finchè i soldi ci sono, si balla. Si può, addirittura, avvalersi del diritto d’andare a prostitute: “Della mia vita faccio ciò che voglio io”. Come in carcere il diritto al suicidio è sacro – salvo scoprire che un amico lo potrà rendere inutile -, così anche l’andare a prostitute, pur non condiviso, è sacro per il figlio. Una piccola postilla: “Vacci pure, ma non a casa mia!” Le cose sono chiare: il padre, purchè il figlio resti a casa, non fa aggiungere un letto in casa sua perchè il figliolo si tolga il prurito dei sensi. Lo lascia libero, ma non accetta di tradire il suo stile per tenersi il figlio in casa sua.

Andatosene il figliolo – “L’han beccato a prostitute sulla Salaria l’altra sera” avranno bisbigliato al bar del paese dove quel padre andava a prendere il caffè – il padre non smiette d’esser padre, neppure quando il sospetto d’aver perso ill suo tempo inizia a rodergli il cuore. Non cambia di casa per non sentire che la vergogna lo tenta: rimane in piedi sotto la tempesta. Di più: inizia a diventare il padre che manco s’immaginava: inizia ad aspettarlo, continua a pensarlo, mai smette di tenerlo nel mirino del suo cuore. Tiene accesa, nel cuore, la speranza come si tiene acceso un fuoco aggiungendo legna quando sta per spegnersi. Non la speranza di chi dice: “Fate che torni. Fà che finisca bene questa sorta di vergogna paesana”. Il padre non è un ottimista, manco ingenuo, è realista: «La speranza non è ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiam facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno» (V. Havel). Una speranza così, o ce l’ha o non ce l’hai: più che un oggetto da possedere è un orientamento del cuore, una dimensione dell’anima. La speranza di mia madre che, una volta che i suoi figlioli son diventati grandi, cresce anche lei nelle aspettative. Non più: “Mi raccomando di fare i bravi, di fare questo, quello, quest’altro”. La sua speranza, anche il suo modo di sperare è maturato: “Che la Madonna vi tenga una mano sulla testa” ripete. Che sia una vita all’altezza dei vostri sogni. Poi tace e prega.

Torna a casa il figlio: «Allora ritornò in sé e disse: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te». Avverte, sotto le macerie, di non esser più nel cuore di nessuno: confronta l’esperienza che ha fatto con papà con quella che sta facendo e scopre che la vera libertà è camminare con qualcuno che ti aiuta a diventare chi tu puoi diventare. Avesse fatto aggiungere un letto per una prostituta perchè il figlio rimanesse a casa, il padre sarebbe diventato il migliore amico del figlio. Non il padre che, soffrendo il distacco, ha accettato la sfida d’educarlo senza fare del figliolo un mantenuto.

(da Il Sussidiario, 29 marzo 2025)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”» (Vangelo di Luca 15,11-32).

Editoriali della Quaresima 2025

Mercoledì delle Ceneri, La Quaresima dei soldati stanchi, 5 marzo 2025
I Domenica di Quaresima, Satanasso, 8 marzo 2025
II Domenica di Quaresima, Divieto di campeggio, 15 marzo 2022
III Domenica di Quaresima, Pronti pazienza via, 22 marzo 2025
Solennità dell’Annunciazione, Dove i tram non vanno avanti più, 25 marzo 2025

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