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La prima Lettura racconta l’episodio della morte della moglie di Lot, durante la fuga da Sodoma e Gomorra. Innanzitutto, è bene collocarla all’interno del suo contesto. Sodoma e Gomorra sono città infestate dal peccato che, come pianta rampicante, ammorba le intere fondamenta di quel territorio. In loro favore, si alza la preghiera di intercessione che, in nome di almeno dieci giusti, supplica Dio di aver misericordia anche degli ingiusti, salvando la città. Perché la preghiera di intercessione di Abramo non basta? Perché neppure il “minimo sindacale” posto sul piatto della bilancia (cioè i dieci giusti) è stato trovato. Eppure, anche così, non è stata fatta giustizia sommaria. La famiglia di Lot, che è stata trovata giusta durante la visita degli angeli è avvertita dell’imminente ecatombe che si sarebbe abbattuta sulla città. L’unica regola imposta alla famiglia in fuga è di non voltarsi indietro. La moglie di Lot, vinta dalla curiosità, si volge però indietro, diventando una statua di sale.

Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. (1Cor 6,10)

San Paolo esplicita in questo modo quali siano i comportamenti sgraditi a Dio. A volte, siamo abbindolati da una lettura un po’ superficiale dei dieci comandamenti e ci illudiamo di essere sempre a posto, rifiutando uno sguardo più approfondito che, invece evidenzierebbe, ad esempio, come le parole possano essere lame che feriscono, danneggiano l’autostima, lacerano la fiducia, a maggior ragione quando dette alle spalle dell’interessato.

«Tutto mi è lecito!». Sì, ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla. (1Cor 6,12)

Quest’ultimo passo del brano festivo estratto dalla prima lettera ai Corinzi è forse la migliore chiave di lettura per comprendere la Prima lettura. I divieti di Dio non sono mai imposizioni fine a se stesse, ma hanno sempre, come fine ultimo, la nostra maggiore libertà. Perché la scelta tra bene e male, si risolve sempre anche come possibilità tra una maggiore o minore libertà, tra comportarsi come figli di Dio oppure come schiavi del peccato, soggiogati da Satana. Chi non opta per il Padre Celeste, pur se in modo indiretto, si sta già indirizzato verso il Principe di questo mondo e il padre della menzogna (cioè, Satana).
Anche il Vangelo, del resto, rischia di lasciare con l’amaro in bocca. Dopo una prima chiamata di invitati alla festa, mentre questi nicchiano e accampano scuse, il re decide di lasciarli nel loro brodo, estendendo l’invito ai commensali più improbabili, raccolti ai crocicchi delle strade. Proprio per questa chiamata allargata, stupisce la nota finale, in cui alla domanda “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?” (Mt 22, 13), quest’ultimo è cacciato via in malo modo. La prima reazione è forse quella di ribattere al re della parabola: “Che ti aspettavi? Estendi l’invito a cani e porci e ti aspetti che vengano tutti vestiti di gala?”. Va ricordato che, di tutti gli invitati, pur non essendo d’élite, solo uno è stato cacciato via. L’unico che non aveva capito il contesto in cui era stato chiamato. Non si parla di alta o bassa sartoria, ma di abito inappropriato. Come chi si presentasse ad un matrimonio in costume da bagno o tenuta tennistica. Può essere materiale tecnico di prim’ordine e costare anche più di un abito da cerimonia di pessima fattura, ma il problema è non aver azzeccato lo stile dell’abito richiesto. Fuor di metafora, non ci è richiesta la perfezione assoluta, ma l’impegno a sviluppare la migliore versione di noi, per offrire a Dio il meglio, di ciò di cui siamo in possesso, senza fare confronti con le altrui dotazioni.
È inevitabile, a questo punto, che la mente ritorni al sacrificio di Abele, accolto (al contrario di quello di Caino). Non è sicuramente a motivo del tipo di offerta (Caino, agricoltore, offre i prodotti della terra, mentre Abele, pastore, offre capi del bestiame che alleva). La carenza risiede piuttosto nella modalità dell’offerta, che non vede al centro la parte migliore da offrire a Dio.
Con Cristo, le maglie della misericordia di Dio si fanno più ampie, Dio allarga la propria tenda: Gesù è infatti morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti (1Pt 3,18). L’intercessione di Abramo è arrivata all’apice: con Cristo, ogni ingiusto può trovare salvezza; per mezzo di Cristo, anche noi possiamo partecipare all’opera redentrice. Solo in Lui scopriamo la vera libertà di aderire al Bene, che il Padre esige per la nostra maggiore felicità.

Rif: Letture festive ambrosiane della IV domenica dopo Pentecoste


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