Mentre, lentamente e con cautela, riprendono le attività, riconsegnando a molti quel senso di normale ferialità da cui si è rimasti digiuni per diversi mesi, dopo aver percorso un buon tratto, non si smette ancora di riflettere sulla strada inaspettata che si è stati costretti a percorrere.
I giornali, i media in generale, da mesi sono concentrati su un unico tema: COVID-19.
Non poteva essere diversamente, dato che non capita spesso di aver un argomento così caldo, su cui buttarsi e da cui trarre, in maniera pressoché inesauribile, il pane quotidiano.
Non capita spesso d’imbattersi in una peste, o in un suo simile, come in questo caso, soprattutto se si considera che questa si è presentata nel terzo millennio, nell’era del trionfo della scienza e della tecnica.
Come è stato possibile? Perché si è scatenata questa pandemia? A causa di chi è accaduto tutto questo?
In questa quarantena abbiamo potuto constatare – ancora una volta – la mediocrità di certe affermazioni circolate in rete, assurde posizioni date per vere, quando in realtà si trattava di pure ipotesi di chicchessia. In breve tempo, ognuno ha presentato la sua teoria, il suo perché. Moltissimi si sono trovati, da un giorno all’altro, ad essere immunologi, dottori, scienziati, responsabili di governo. In una situazione come questa, dove le informazioni erano precarie e la loro veridicità poco appurabile, non poteva mancare una teoria complottista, anzi, più di qualche fantasiosa teoria in cui tutti potessero attingere un motivo, un loro perché, se non avevano elaborato una propria spiegazione dell’incubo che stavano vivendo.
Allo scoprire che un nuovo virus si era intrufolato nelle nostre vite, sconvolgendole, in maniera invisibile e silenziosa, ci si è lanciati lungo due vie: quella della ricerca di una soluzione al problema, di una cura da trovare al più presto, di un modo per limitare il più possibile il dilagare del morbo e quella del movente, ossia cercare di comprendere da dove fosse arrivato questo male, chi non lo avesse fermato in tempo o chi lo avesse volutamente liberato tra la gente. Insomma, ci si è chiesti di chi fosse la colpa.
Perché l’uomo, di fronte al male, soprattutto se arriva in maniera improvvisa, si chiede chi sia il colpevole. Cerca sempre un capro da immolare, qualcuno da accusare.
Tra queste voci si è sollevata anche quella dei cristiani, che, ancora una volta, hanno sfoderato due classici: il demonio e Dio.
Il virus, per alcuni, sarebbe un attacco diabolico, una sferzata delle forze del male contro l’umanità. Ma affermare che il male viene dal demonio è, teologicamente, un’operazione rischiosa. Secondo la tripartizione di sant’Agostino, il male va distinto in: morale, fisico e metafisico. Siamo davvero certi che questi ultimi due facciano parte del suo campo di gioco? O non è forse solo il male morale, su cui può avere una discreta influenza?
Il demonio infatti spinge al male, lo propone, induce alla tentazione, lui stesso se ne nutre, ma – ontologicamente – non gli appartiene, non è una sua creazione. Se lo fosse, se avesse questa capacità di dispiegarlo a suo piacimento nel cosmo, sarebbe dio. Il fedele, invece, respinge fermamente questa ipotesi manichea, sa bene che senza il consenso divino, neppure il demonio può muovere un dito. Egli, per quanto potente, resta sempre una creatura, al soldo del male, ma non sorgente del male. A tal proposito, padre Gabriele Amorth, una vita di battaglie contro queste forze oscure, affermava che gli uomini non devono temere il diavolo, ma il peccato.
I demoni, quindi, saranno pure l’esercito del male e il diavolo il loro capo, sapranno pure elaborare tentazioni e malvagità di ogni sorta, ma del male non possono essere la fonte principale: al massimo, i rivoli e i fiumi che lo diffondono.
In questo senso, pare più probabile che il demonio non abbia a che fare il nostro caso, perché questo tipo di male, per come lo interpretiamo noi, sembra non riguardarlo. Egli ne sarebbe implicato solo nel caso in cui avesse tentato qualcuno a creare un virus e a diffonderlo; ma, qualora questo fosse già presente in natura, nella creazione, che è buona, perché viene da Dio, per quale motivo dovrebbe essere chiamato in causa?
Per altri, invece, il morbo che è dilagato sul nostro pianeta, è una punizione divina, la risposta di Dio a qualche grave peccato. Affermazioni che fanno sorridere, se si pensa che chi le propone spesso afferma che è sì una punizione di Dio per i peccati, tuttavia non per i propri, ma per quelli di qualcuno altro. Quindi la colpa non è loro, ma dei peccati degli altri. E se non è una punizione, questo male rientra quantomeno in una certa volontà di Dio imperscrutabile e, di conseguenza, Dio stesso vorrebbe il male.
A tal proposito però bisogna ricordare le parole di Gesù, quelle della preghiera che lui stesso ha insegnato e che ogni buon cristiano recita quotidianamente: liberaci dal male.
Si chiude così il Padre Nostro: liberaci dal male. Pertanto, se sostenessimo che è davvero Dio a voler il male, per una sorta di disegno a noi incomprensibile, allo stesso tempo dovremo ammettere una sorta di sadicitá nelle sue azioni. Egli, infatti, invierebbe il male, ma, allo stesso tempo, ha mandato suo Figlio per insegnarci a chiedere di liberarcene, per liberarci dal male di cui lui stesso sarebbe fautore. È, questo, un ragionamento, se non errato totalmente, perlomeno contorto e inaccettabile, alla luce del Vangelo. Bisogna distinguere bene tra un Dio che vuole il male e un Dio che lo permette.
Gesù stesso ha pregato nel Getsemani di allontanare da lui il male, il calice amaro. Lui, vero uomo ma anche vero Dio, lo ha aborrito, combattuto fino alla fine. Mai l’ha desiderato o subito passivamente.
Egli stesso è sconvolto dal male: – Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? – urla dalla croce.
Quello che ci ha colpiti è ancora più assurdo proprio perché si fatica a trovare un colpevole, qualcuno da accusare concretamente, come quando s’imputa d’assassinio un uomo. In questo caso non è così, perché parliamo di un virus, di una creatura presente nella natura e che all’uomo pare un male, ma che in realtà fa parte essa stessa della creazione. Ciò fa apparire la questione insensata, inaccettabile. Ed è giusto così: l’uomo non può accettare il male.
Forse, l’unico, vero modo di affrontare un male di questo tipo, che non dipende da qualche scorretto agire morale da parte dell’uomo, per cui sarebbe corretto cercare un colpevole, è quello di mettersi nell’atteggiamento dell’azione, del silenzio e della preghiera.
Azione, per cercare in ogni modo di sconfiggerlo, di allontanarlo dai propri cari e da tutti gli uomini in generale. Agire contro il male, come faceva il Maestro, che non lo spiegava, ma lo combatteva concretamente, come fanno oggi i medici, gli infermieri e tutti coloro che lavorano, vocazione enorme, nella sanità.
Silenzio, perché dinnanzi a un fatto simile, perdersi in chiacchiere e discorsi fuorvianti, può procurare un danno ancor maggiore. Meglio porsi nell’ascolto silenzioso di una voce altra che si fa ben sentire nel momento in cui tutto tace fuori e dentro di noi. Da qui, ci si può anche predisporre alla contemplazione di quello che all’uomo resterà sempre un mistero.
Preghiera, dato che Gesù stesso l’ha indicata come via preferenziale al dialogo con Dio e dato che, ripetiamolo, l’unica che ci ha insegnato si chiude con una precisa invocazione: liberaci dal male.
Molti si sono chiesti se sia corretto pregare perché Dio ce ne liberi, perché, con una richiesta simile, sembra di intralciare i piani divini, a noi imperscrutabili e, magari, comprendenti anche il male. Tuttavia, non si può soprassedere troppo facilmente a quel liberaci dal male. Se Gesù lo ha affermato, bisogna credervi, aderirvi.
È in questa prospettiva che trovano il proprio senso le processioni di madonne e crocifissi per le strade delle città, un gesto considerato anacronistico e devozionistico, quando è invece segno concreto del popolo dei fedeli che mostrano senza timore, e pure simbolicamente se vogliamo, di aver appreso la lezione di Gesù: liberaci dal male.
Semmai, sbagliano quei cristiani che imputano a quel crocefisso o a quella madonna un qualche potere magico, scadendo così nella superstizione e in quanto di più lontano ci sia dalla fede cristiana. Qui si tratta piuttosto di una tangibile preghiera, di un’orazione visiva. Si tratta di vedere con gli occhi quell’ultimo versetto: – Signore! Liberaci dal male!
Per il resto, al credente, che può e, più correttamente, deve ribellarsi allo scandalo del male, rimane la compagnia di Giobbe, dell’uomo biblico travolto dal male, a cui non viene data alcuna spiegazione a riguardo, ma alla fine, dopo aver attraversato tutta la sofferenza che si può immaginare, riesce a dire: – Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto.
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