Due piedi nudi si stagliano, come un portento, sulla facciata della cappella del carcere femminile della Giudecca, a Venezia. L’opera, firmata da Maurizio Cattelan, inevitabilmente colpisce lo spettatore. Colpirà pure Papa Francesco, il visitatore per eccellenza della Biennale di Venezia (prima volta per un Papa): è che i piedi, asieme al cuore, custodiscono e narrano tutto il peso della vita. Che dietro quelle mura, poi, lo Stato abbia confinato un manipolo di donne, le donne recluse, raddoppia la domanda d’interesse: “Che strade avran battuto costoro per arrivare fino a qui?” Transitasse da queste parti il celebre pittore Van Gogh, il sospetto è quello di pensare che porterebbe uno dei suoi più bei capolavori – “Le scarpe di Van Gogh” (1866) – come vestito per questi piedi. Parole chiave, per piedi e scarpe: non sono oggetti da vetrina. Sono consunt, impopolari.

Che la Santa Sede, solitamente fine nell’ideare le sue provocazioni, installi il suo padiglione in un carcere femminile è più che una scelta di campo: è un tentativo di portare all’attenzione del mondo attraverso l’arte – che è a sua volta un tentativo di mettere ordine nel disordine – il tema dei diritti umani, tema tanto caro al Papa argentino: «Siamo molto onorate che abbia scelto proprio noi e lo aspettiamo» ha detto una donna reclusa. L’arte, dunque, anche stavolta sarà un pretesto per provare ad aprire gli occhi e acciuffare la domanda alla quale quei piedi tendono: “Questo mondo, il mondo recluso, lo conosci davvero? Altrimenti, se vuoi, indossa questi piedi ed entra a vedere cose che, solitamente, son cose che non si vogliono vedere. Cose sulle quali si preferisce chiudere gli occhi. O, ancora peggio per chi vive là dentro, si guardano con una cecità nello sguardo.

Nessun pietismo o tentativo di catturare un’amnistia che, da queste parti, è tema di aspettativa giornaliera. Soltanto un invito ad entrare per vedere: «Venite e vedrete» disse l’Uomo di Galilea che, coi piedi, viaggiò solo per sessanta km di lunghezza e trenta di larghezza per poi dare l’impressione d’avere perlustrato l’uomo intero. Poi, una volta che si uscirà da questa zona maledetta della città, si uscirà forse “in punta di piedi”, il che non si sarebbe mai immaginato quando, solo pronunciare la sua grammatica (carcere, reato, condanna) ci sarà venuto da a costoro di “levarsi dai piedi”. Se le dita dei piedi potessero parlare, quante storie racconterebbero: il piede, come il volto, ha una sua espressione tipica.

(da Specchio de La Stampa, 28 aprile 2024)

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