evasioneUna classe irrequieta e un po’ scalmanata. Così capitava che ogni tanto Lui dovesse intervenire per dirimere qualche diatriba, per rasserenare gli animi, per sistemare qualche faccenda rimasta a mezza strada tra l’esuberanza del pescatore, l’inesperienza dell’esattore e la mistica del discepolo prediletto. Poche volte il suo intervento sanciva una posizione tra le tante emerse: il più delle volte sbaragliava il campo e spostava il discorso dove voleva Lui: “somiglia il Regno di Papà mio a…”. Fortuna e responsabilità di chi viene al mondo col nome di Gesù e le stimmate del Predestinato.
Che Pietro fosse in vena di generosità quel giorno è troppo facile immaginarlo: settanta volte sette non era di certo il suo numero preferito. O meglio, non era il numero al quale c’aveva abituati la sua proverbiale irruenza. Abituato a contare i lucci appena pescati, a moltiplicare il loro peso per il prezzo sul mercato, a sottrarre dal guadagno lordo le spese per ottenere quello netto, stavolta il Maestro gli scompiglia i piani. Lo obbliga ad un’operazione – settanta volte sette – che non produce un numero come risultato ma un avverbio a lunga gettata e conservazione: sempre. Immagino la confusione del pescatore: tra me e lui era bello tergiversare tra un “questo sì, quello no” e un “perdono ma non dimentico” o un più diplomatico “stavolta sì, ma la prossima volta no”. Poi arriva Lui in classe e illustra il suo teorema dimostrando che il perdono è l’unica merce che non conosce tariffario. E neppure contrabbandieri coi quali contrattare la merce procurandosela contraffatta: a nessuno una speciale indulgenza.
Così finiscono anche oggi a dargli addosso tutti, per l’ennesima volta: “sei il solito esagerato, ennesima figura meschina, potevi risparmiartela stavolta, hai cannato in pieno”. Povero Pietro, quasi sempre lui a metterci la faccia in quella classe di calcolatori e sempre lui a sentirsi rinfacciare la sua esuberanza apostolica. Quando invece almeno Pietro il problema se lo poneva per davvero: una volta capito che non poteva essere discepolo senza essere capace di perdono (“in quel tempo” esisteva una coscienza lavorativa) tentò di prendere le misure per farsi un’idea dello stile da adottare. Oggi tutta brava gente quella che calpesta le navate marmoree delle cattedrali: brava gente, ma razzista. Bravi cristiani ma capaci di odiare. Impresari edili capaci delle più grandi opere eccetto quella di dimenticare un torto subito. Grande prete ma se lo tocchi nell’orgoglio non perdona. Il pescatore di Galilea conosce l’accredito fatto sul suo conto e vuole restituire. Mica come noi che nasciamo miliardari e viviamo da nababbi per merito Suo (sul nostro deposito sono stati assegnati diecimila talenti quando Erode il Grande a malapena ne racimolava mille all’anno) e non ci sentiamo mai debitori. Debitori del sole e della luna, dell’aurora e dei tramonti, delle fienagioni e delle vendemmie. Delle stelle luminose, dell’acqua che gorgoglia e dei fiori che sbocciano. Degli occhi, dell’udito, delle gambe, del tatto e del gusto. Della musica e dei profumi, delle lacrime e delle gemme, delle betulle e delle conifere. Dell’amore di Lui. Conosceva Pietro il verso del salmista: “insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sal 90,12).

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
(Dal Vangelo di Matteo cap. 18 vv. 21-35

Diecimila talenti versati sul nostro conto: un’esagerazione che non chiede d’essere risarcita a rate. L’unica condizione di versamento è amare il prossimo con la stessa generosità ricevuta. Cosicché Pietro stavolta non ha fallito il bersaglio: ha semplicemente rischiato di prendere le misure perché avvertiva che a così grande generosità occorreva rispondere con un eccesso di ordinarietà. Non è bastato, ma almeno lui il problema se l’era posto per davvero: “Signore, come faccio a sdebitarmi dell’amore che Tu nutri per me?”. In quel tempo l’Amore era una faccenda seria.

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