Lassù la considerano l’Ereditiera, con la maiuscola. Come poteva Iddio, in previsione del futuro del Figliolo, pensare che il grembo di donna che l’avrebbe accolto fosse vergato di peccato? Per questo ragionò come i padri del mondo, meglio di tutti i padri del mondo, visto che soltanto Lui era il Padre di tutti i padri, antenati e nascituri. Preparò al Figliolo la terra più bella, il giardino delle meraviglie, il ventre diafàno di una donna d’anonima bellezza: fu così che, millenni dopo, venne al mondo la Madonna. Immaginata, pensata, desiderata: nacque «concepita senza peccato originale» come, nel tempo, gioirà a cantarla nelle litanie il popolo che a lei s’aggrappa al pari di un’ostrica sullo scoglio. “E’ la solita privilegiata di turno” va spettegolando il lurido Satana sul conto della Madonna. Lui, ch’è principe del fango, non può che odiarla, detestarla: non trovando in lei nessun aggancio – il peccato è il suo aggancio per pescare le anime e squartarle con le sue balle – non gli resta che ragionare con la filosofia della volpe e dell’uva. La odia sin dagli albori, non può fare altrimenti, questa (gran) Donna è il mandato di cattura internazionale che Dio gli firma all’indomani della vigliaccheria nel giardino: «Porrò inimicizia tra te e la donna (…) Questa ti schiaccerà la testa»(Gen 3,14-15). L’avversario era stato avvisato.
Quando nacque da Anna e Gioacchino, Maria nacque con la classica camicia addosso. Le pistolate di Satana, il sudiciume del peccato, le briciole di godimento non riescono a mettere radici nel senso botanico del termine nel suo cuore. “Facile diventare grandi così – potrà bisbigliare qualcuno al soldo del demonio -: praticamente fu costretta a dire di sì all’Angelo”. Mai bestemmia suona più letale alla nostra Ereditiera! Se è pur vero che ha trovato in dono un’eredità unica – l’essere nata senza il tarlo del peccato non è certo cosa di poco conto, ndr – è altrettanto vero quel che succede quaggiù, sotto gli occhi di tutti: quanti figli, figlie, senza fare nulla per meritarlo si ritrovano tra le mani capitali, immobili, investimenti, fortune che non basterebbero dieci vite ad usarle. Eppure, pur avendo un patrimonio tra le mani, qualcuno lo sperpera, non lo fa fruttare, addirittura lo brucia in quattro e quattr’otto: “Una generazione costruisce, una la gode, la terza la brucia” dicono dalle mie parti. Non basta che un’eredità finisca nelle tue mani: è necessario che tu la riconosca, la faccia tua, te la giochi. Soltanto allora vivrà in te, diventerà tua, esploderà. Poteva, dunque, dire di no la Madonna. Per un attimo, quella volta, l’Arcangelo patì, forse, un calo di pressione improvviso: «Com’è possibile questo? Non conosco uomo» furono le prime parole che uscirono dalle labbra più pure e caste che il mondo abbia mai contemplato. Mica delle parole di circostanza, ma la dichiarazione chiara di non accettare d’essere zerbina di nessuno in vita sua. Dovette sudare altre parole l’Arcangelo per spiegarle la possibilità che aveva di fronte a Lei. Quando capì l’eredità che aveva tra le mani, accettò di giocarsi tutta la sua irriverente libertà: «Eccomi, sono le serva del Signore». Serva, non schiava: del suo Dio innamorata, non abbagliata dal primo uomo che passa. Mica quisquilie.
Il peccato è un delitto di lesa maestà: è l’esca del pescatore-Satana per far sì che le anime si distraggano da Dio. Va detto, non va taciuto! Maria, però, è il rifugio dei peccatori, l’anello di congiunzione tra il castigo dell’inferno che spetta al peccatore orgoglioso e la salvezza ch’è possibile nel suo Figlio. Non perdona la Madonna: non può farlo. Intercede, però, presso Cristo: come una mamma fa presso la giustizia del padre di casa. Per nove mesi, prima che nascesse, se lo tenne in grembo come il sacerdote solleva l’ostia nella patena. Per trent’anni se lo coccolò come il più folle degli amori: non capiva tutto di Lui, ma anche quello che non capiva se lo custodiva, certa che un giorno l’avrebbe capito. Satana, la bestia del fango, la odia: potesse (non può!) la renderebbe polvere. Se abbiamo una cassetta in cui tenere i soldi, l’unica cosa a cui prestar attenzione è la chiave: la chiave non è il denaro, ma senza la chiave non si arriva ai soldi. La Madonna è la nostra chiave, senza lei non si arriva a Cristo: Lui è venuto attraverso di lei. Ciò che i santi possono fare col suo aiuto, solo lei lo può fare da sola. Lei è Lei.
(da Il Sussidiario, 7 dicembre 2024)
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei (Vangelo di Luca 1,26-38).
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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).
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