Gli strumenti a sua disposizione sono così fragili d’apparire banali: acqua e voce. Che, a pensarci bene, è quasi un paradosso per uno come il Battista che giunge dritto dal paese deserto: non c’è acqua, non si ode voce. E’ apparso al mondo coi compiti-per-casa cuciti addosso: «Egli ti preparerà la strada» disse di lui Isaia-profeta. Materia di edilizia stradale, dunque: le strade da raddrizzare, le vallate da colmare, lo sconnesso che diventi pianura. Ad acqua-e-voce. Quando apparve, gli risero dietro: “Sei arrivato troppo tardi, dispiace” dissero quelli che pensavano cercasse di far carriera tra i profeti. “Troppo presto: il concorso inizierà dopo-domani” gli rinfacciarono quelli che sospettavano fosse alla ricerca del primo posto tra gli apostoli. Lui, bando alle ciance, venne perché «mandato da Dio». Non venne per conto proprio, non fece di testa sua: giunse «per dare testimonianza alla luce». Venne, dunque, per conto-terzi e fu materia di profezia inoppugnabile. Ustionati dalla sue parole, lo misero spalle al muro: “Ma quanto ambizioso sei! Si può sapere dove vuoi arrivare?” Manco lui, in verità, sapeva dove sarebbe arrivato. Sapeva, però, da dove giungeva: «Io sono voce di uno». La voce è un abitante, la Parola è il paese: la voce è posizione-seconda rispetto alla Parola. E’ la Parola a dare cittadinanza alla voce. La voce, tutt’al più, regala colore e tono alla Parola: la qualità è informazione-seconda alla qualità.
La sua gente era identica a quella d’oggi: “L’importante è sapere dove vuoi arrivare!” ci si augura l’un l’altro. Mentendo assai: più che il punto d’approdo, ciò che conta è non scordare il punto-di-partenza. E’ materia sacra: senza la base, scordatevi le altezze. «Io sono voce di uno». Vive di un’umile follia quella stazza di profeta insuperabile. Lo vogliono innalzare a suon di voce, di battimani: «Chi sei? Sei tu Elia? Sei tu il profeta?» E’ da tempi immemori che il mondo funziona così: “Io-sono. Tu non sai chi-sono-io. Sono-io”. L’uomo, appena può, si somma titoli sopra titoli: “Architetto, reverendo, onorevole, eminentissimo, pregiatissimo, avvocato. Commendatore, ingegnere, illustre”. L’uomo ama fare addizioni a più-non-posso, Giovanni è l’uomo delle sottrazioni: «Io non sono il Cristo (…) Non lo sono (…) No». Stringato, conciso. Gli pongono la domanda più ambiziosa : «Tu, chi sei?». Risponda ciò che vuole, gli crederanno a occhi-chiusi. Lui risponde a occhi pieni-di-gioia: «Io non sono». “Essere” è verbo a doppio-uso: al positivo è del Cielo – «Io sono colui che sono» (Es 3,14) -, al negativo è degli uomini del Cielo: «Io non sono (lui)». Non-sono, perché Lui solo è: nessuna negazione fu mai più positiva di questa. Il secondo-di-Dio è il più grande tra i nati di donna.
Con acqua e voce, mandò gambe all’aria le voci-grosse: «Perché, dunque, tu battezzi, se non sei il Cristo?» E’ consigliato non svegliare il cane che dorme: «In mezzo a voi sta uno che non conoscete». È, dunque, perché dormono che lui alza la voce fino a diventare voce-stessa: siccome stanno tutti dormendo – la cosa buffa è che son, però, convinti d’essere i più svegli di tutti – il Battista fa di tutto perché non si lascino scappare l’occasione della vita: «In mezzo a voi sta». C’è già, non s’accorgono: lui, che s’accorge, acqua-e-voce tenta il loro risveglio. Loro, quando si sveglieranno, vorranno attaccarsi stretti a lui. Lui, ancora-voce, allungherà il dito-verso: «Ecco l’agnello di Dio» (Gv 1,35) “Ecco” è avverbio di presentazione. Dire “Ecco” è compito della voce: “Io non-sono-lui. Sono solo la sua voce: eccola la voce. Andate dietro a lui, non seguite più me”. Il Battista, di sé, dice d’essere voce-di: «Tutto diventa un po’ diverso appena lo si dice a voce alta» (H. Hesse). Quando, poi, la voce si lascia abitare dalla parola, c’è solo una voglia-matta d’indossarla quella voce: «I due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù» (Gv 1,37). Ascoltano la voce, seguono la parola. Ci sono voci che, col tono, dicono già quello che sta al di là delle parole: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Io-non-sono è la più alta dichiarazione d’identità.
(da Il Sussidiario, 16 dicembre 2017)
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando (Giovanni 1,6-8.19-28)
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