È una terra dai nervi scoperti: basta poco per farglieli saltare del tutto. Il che vorrebbe dire far saltare pericolosamente i nervi all’intero mondo abitato. Esattamente nel punto dove il mondo mostra d’avere i nervi scoperti, Dio ha deciso di farsi uomo, dichiarando cos’avrebbe fatto da grande: «Là egli visse trent’anni, non già in un silenzio di adorazione e d’amore: fra i litigi, le gelosie, i piccoli drammi d’una numerosa parentela» (F. Mauriac). In una terra condita di imprevisti, l’imprevedibile si è fatto avvenimento. L’avvenimento, poi, si è mutato in storia, la più ambiziosa e paradossale che il mondo avesse mai udito: quella cristiana. Tra spighe di grano, coltivazioni di pompelmi e melograni, qualcosa di nuovo si è innestato per sempre nella storia di quaggiù: un incontro di sguardi, uno scontro di vedute, un incrocio dal quale ognuno ha scelto che destinazione seguire. Comunque vada il mondo di quaggiù, è attraverso questo mondo che qualcosa di nuovo ha fatto irruzione nella storia. Infiammandola, infastidendola, trasfigurandola. Accendendo la luce, quando il buio era la più grande comodità.
Mentre il mondo abitato era tutto preso ad auto-celebrarsi, in punta di piedi il Cielo si è fatto bambino in carne e ossa. L’unica cosa certa, nei secoli prima di quella nascita, era che tutti L’attendevano. Quando fece capolino, l’unica cosa certa fu la non-riconoscenza. In tanti non lo riconobbero affatto: s’aspettavano un altro, dell’altro. Si attendevano, forse, un Dio diverso. Lui, sottovoce, iniziò a mettere mano al suo destino, dentro il nostro destino: quella che ancora oggi ci viene tramandata è una storia popolata di galli, vasai, forni e riparazioni. Qui, in una terra che i seguaci del Dio di Betlemme definiscono santa, pur vedendola ancora trafitta e crocifissa, il Cielo mostrò di che pasta erano fatti i suoi sogni: la passione per l’uomo è ancor oggi il suo più grande cavallo di battaglia. Che ogni uomo e donna abbiano la grazia d’intravedere uno scopo per cui vivere, un Dio per compagno, un Cielo per amico. Era l’unico modo che Dio conosceva perché il mondo avvertisse il brivido di una compagnia misteriosa: quello di farsi trovare sottocasa, sulla soglia, con lo sguardo già pronto a mettere mano alla maniglia.
Dei fasti nefasti di quell’immane storia primitiva dell’anno-zero, oggi sono rimasti i luoghi in cui quei fatti sono accaduti la prima volta. Luoghi santi, anche se custoditi da cima a fondo da uomini mitragliati, francescani col saio. Luoghi che sono mèta di pellegrinaggi: c’è sempre un istante nel quale s’avverte forte il bisogno di andare dove la nostra storia è nata e cresciuta, è stata sgominata ed è poi riapparsa. Nessuno aveva mai avuto un’idea così sopraffine: innamorarsi delle cose ordinarie al punto tale che le cose ordinarie s’innamorassero di Lui, facendosi sue tracce. Struggendo i sensi di coloro che, un giorno, si metteranno in testa d’andare a trovarlo laddove è nato e cresciuto, nella sua Betlemme: «O Amor, divino Amore, perché m’hai assediato? Da cinque parti vedo che tu m’hai assediato: audito, viso, gusto, tatto e odorato» (I. Da Todi). È destino di chi poi rincasa, ammettere d’aver vissuto in stato d’assedio: l’udito, la vista, il gusto, il tatto e l’odorato hanno udito, visto, gustato, toccato e fatto memoria delle stesse cose che anche Cristo fiutò attraverso i suoi cinque sensi. È storia sensuale.
La geografia è nota: Nazareth, Betlemme, Gerusalemme. Nel mezzo ci sta tutto il resto: l’annuncio e la greppia, la bottega e il tempio, l’acqua e la sabbia, il granello di senapa e il legno della Croce. Il pellegrino che ancora oggi marcia in direzione di quella terra, è un viandante che si mette a cercare le ragioni della speranza. Camminare in Terra Santa è come innamorarsi di nuovo: è il Vangelo a farsi tutto nuovo, daccapo. Con la famiglia di A Sua immagine (Rai1), ci siamo fatti pellegrini anche noi: nella Terra Santa, a riassaporare in presa-diretta le parole e i silenzi dei Vangeli della Quaresima e della Pasqua. A fare i conti con un’immagine che sangue e chiodi non riescono a sbiadire: il sepolcro vuoto. È un vuoto strano: parla di una pienezza, è un’assenza di compagnia, è un vuoto-riempito.
È un vuoto che fa paura solo a chi lo vorrebbe riempire a tutti i costi.
Un nuovo ciclo di puntate nella rubrica «Le ragioni della speranza» (Rai1)
Inizia sabato 17 febbraio 2018 il nuovo ciclo di sedici puntate de Le ragioni della speranza – la rubrica di RaiUno del sabato pomeriggio (16.15) – condotte da don Marco Pozza. Nella prime otto puntate il Vangelo verrà commentato dalla Terra Santa, mescolandosi con i pellegrini della diocesi di Ozieri (SS) che hanno vissuto un pellegrinaggio assieme al loro vescovo, don Corrado Melis. Il progetto è stato reso possibile grazie alla partnership tra il programma di Rai1 A Sua Immagine e Opera Romana Pellegrinaggi.
Da quest’anno le puntate andranno in replica la domenica mattina, alle ore 6.20.