La figura dell’influencer, in queste ultime settimane, è salita prepotentemente alla ribalta nei dibattiti nazionali. Anche nelle dispute virtuali, ovviamente: il virtuale è la loro madre patria. “Nulla di strano. Non si parla d’altro!” direte. Oggi, a pensarci, la chiave per ottenere una leadership di successo sembra essere diventata l’influenza, prendendo il posto che una volta spettava all’autorevolezza: dal numero di follower si tende a dare una misura alla credibilità di una persona. Di un personaggio, meglio. La pubblicità, qualunque sia, cerca di influenzare il potenziale cliente (che sono io) con un messaggio che riesca a vincere la sua riluttanza ad acquistare: perciò non contano le informazione sul prodotto, ciò che conta è mostrarne l’immagine. Qualora il cliente, poi, non sentisse proprio il bisogno di quel prodotto, si lavora per far nascere quel bisogno, facendolo diventare un bisogno di massa: “Lo prendono tutti: lo prendo anch’io. Vuoi che sia l’unico a non averlo?” Alla faccia della tanto conclamata libertà di pensiero e di azione. Più follower si hanno, dunque, più il bacino si allarga a dismisura.
Disto da questo mondo come dista l’Italia da Marte. Eppure, quando sento parlare di influenza (che non sia quella fisica) non posso non ammettere che anche la mia vita è stata influenzata da alcune persone. Da dei piccoli avvenimenti. Certe volte noi sottovalutiamo l’influenza delle piccole cose: un incontro anonimo, una carezza sul volto, un sorriso di passaggio. Le parole gentili e le buone azioni possiedono un qualcosa di eterno: non si potrà mai sapere dove finirà la loro influenza. Ricordo il sorriso della suora, di nome faceva Narcisa, che mi ha accolto alla scuola materna: quel sorriso così libero e umano è stato la prima traccia di umanesimo che la mia memoria ricordi. E, subito dopo la scuola materna, la fortuna d’avere incrociato sulla mia strada una maestra che, coraggiosissima, applicava un suo credo pedagogico che ancora oggi mi porto cucito addosso: si impara solo divertendosi. Provo a misurare quanto è durata la loro influenza e mi sembra di capire che un insegnante ha effetto sull’eternità. Il lavoro di chi educa influenza il destino del mondo intero.
Anche se la prima influenza che ho preso e di cui mi porto dietro ancora le conseguenze – “benedetta influenza!” – è stata quella che mi hanno passato per contagio le donne di casa nostra, la mamma e le nonne. Nessuna costrizione, pochissimi consigli, tantissima responsabilità in mano nostra. Il tutto nascosto in quell’ingrediente magico che si chiama amore: “Per cambiare le persone bisogna amarle” diceva sempre una delle due nonne. La nostra influenza, seguendo il suo ragionamento, arriva solo fino a dove arriva il nostro amore. Di queste quattro influencer – la suora, la maestra, la mamma e le nonne – ammetto di dipendere ancora oggi, a motivo dell’esempio trasmesso. Eppure nessuna delle quattro (delle due ancora vive) ha mai avuto un profilo pubblico su internet. Le mie sono quattro influencer a “basso profilo”. Felicemente vintage, serenamente naif.
(da Specchio de La Stampa, 14 gennaio 2024)