Lo ripeteva il nonno, ch’è sempre rimasto, finchè è stato in vita, il mio consulente privato in materia di proverbi: La miglior salsa è l’appetito, gente! Lo diceva a chi, seduto per pranzo o cena, chiedeva dell’olio o altri condimenti culinari. Lui, che di professione fece con passione lo stradino comunale (*), ci si accorgeva da distante che, seduto in tavola, provava godimento a mangiare. Qualunque fosse la pietanza di nonna: “E’ da stamattina che non metto niente in bocca!” era una delle frasi che più gli ho sentito dire a nonna che, appagata, gli piaceva fargli notare come mangiasse di gusto. A differenza di noi bambini che, tra caramelle e brioches, arrivavamo a pranzo quasi sazi. Incapaci di gustare, come meritava, l’ingegneria culinaria della cuoca di casa. Ricordo, poi, il sapore di un’altra frase che i miei nonni, i primi catechisti, erano soliti confidarsi nei giorni di festa, quando la loro famiglia, che si allargava di anno in anno, si sedeva attorno allo stesso tavolo: “Se non è vero! – si confidavano -: Pranzare insieme stuzzica l’appetito!” Non ho più udito, dopo la loro morte, frasi così appetitose da saziare anzitempo il palato.
Il loro lutto, più che in cimitero, mi capita di scontarlo seduto a tavola.
Nel tempo d’Avvento più che a Natale: sono stati loro, maestri dell’appetito, a narrarmi, senza fare l’uso di parole, la magia del tempo dell’attesa, il gusto del bramare, la fantasmagoria del desiderio. Oggi, ripensando a quelle lezioncine private sull’Avvento, avverto la fortuna d’essere cresciuto con gente che, senza dottorati, sapeva cogliere lo scarto tra il desiderio e la voglia, l’anelito e la necessità, tra l’appetito e la fame. Non l’ho mai visto, il nonno (nemmeno il papà), uscire di casa alla mattina e lasciare scritto da qualche parte cos’avrebbe gradito per pranzo: non si aspettava nulla, tutto quello che trovava era una sorpresa, una sorta di liturgia della gratuità. Il fatto di trovare del buon cibo di lunedì, non era poi motivo per dare per scontato quello del martedì. Di mercoledì. Ancora oggi, quando passo per casa, mi fa rinascere l’appetito (dopo aver mangiato) la frase che mio papà, dopo cinque decadi di vita in comune con mamma, le riserva: “Grazie: è sempre tutto squisito!” Si azzuffano, s’aggomitolano tra loro, giurano ogni giorno d’andare uno a destra e l’altro a manca. Li ritrovo sempre assieme, uniti dal rito magico ch’è l’arte di farsi venire l’appetito. Fossero romantici, scriverebbero: l’appetito vien guardandoci.
L’avvento è il (mio) tempo dell’appetito: cosa sarebbe il Natale senz’attesa né fame? Frasi come “Ho una fame da lupi. Una fame che la puoi tagliere con il coltello” le declino con l’appetito, invece che con la fame: “Ho un appetito da lupi. Ho un appetito che potresti tagliarlo con il coltello”. In quest’epoca nella quale urgente è un aggettivo abusato, distinguere una cosa urgente in un mare di richieste urgentissime sta diventando un lavoro per cecchini. Non accorgendosi che l’urgente non lascia più il tempo per l’importante e il necessario. L’Avvento, per me che non sono un buongustaio, avrà a che fare sempre e comunque con l’appetito. L’appetito degli occhi: per accorgermi sempre meglio di quanto le cose urgenti stiano diventando l’altra faccia delle cose inutili. Eppoi l’appetito della promessa: “Quest’anno, mi prometto, sarà un Avvento del tutto diverso da quello passato”. Sentendo, mentre me lo dico, che Satana mi s’intrufola in mezzo: “Non capisco, caro Marco, come tu faccia ad avere ancora appetito con tutte le promesse che ti sei rimangiato” mi rinfaccia, sapendo d’essere stato lui il primo alleato della mia ultima disfatta. Non importa: gambe in spalla! L’appetito vien marciando mi ripeto, perchè non credo che l’appetito venga mangiando. L’appetito e il pranzo non saranno mai la stessa cosa: uno è il preliminare, l’altro è l’amore. L’Avvento non arriva a Natale, è il Natale che marcia nell’Avvento. Confondere i tempi è il mestiere del Demonio che ama ingozzarti di merendine per rovinarti il pranzo: tutto, subito, c’è fretta. Per poi ammirarti a Natale senza un briciolo d’appetito: “(E’ pronto il pranzo!) Sono già sazio, grazie!” Nonostante tutto, c’è ancora tempo per non sprecare altro tempo.
Buon cammino d’Avvento
don Marco Pozza
(*) Quando ripenso al lavoro di nonno – che, in parole povere, era pagato per tenere in ordine le strade del nostro bel paese di mezza montagna – penso che, senza affatto conoscerlo, le parole più belle gliele abbia riservate e dedicate Martin Luther King: «Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade come Michelangelo dipingeva, Beethoven componeva, Shakespeare scriveva poesie. Egli dovrebbe spazzare le strade così bene al punto che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro». Ancora oggi, qualcuno, quando mi incontra, mi dice: “Tuo nonno faceva lo stradino comunale, vero? (Si) Tu non t’immagini come teneva le strade tuo nonno”. Ho sangue-stradino nelle vene!
3 risposte
Grazie per questa riflessione
Quest’anno è un dolore grandissimo, sono 9 mesi che mamma è mancata, dopo 40 anni da papà, mi manca tantissimo. Sto cercando di prepararmi bene in questa attesa, ma non sarà facile.
Grazie sempre don Marco. Erano bravi gli stradini quando ero piccola.. tenevano pulite le strade per camminarci meglio…. Buon avvento
Parole vere! Io che non sono più giovane comprendo appieno il valore di quei tempi dove la gratuità era l’ingrediente principale che non veniva insegnato ma vissuto e diventava la normalità.
Grazie don Marco per questa riflessione.