torriLa terra d’oltreoceano produce da secoli – sin dal lontano 1492 – un alone di fantasia, di magia e di spassionato fascino che colora le notti di tantissimi ragazzi che in lei vedono l’emblema e il sogno di una civiltà in ogni altro posto irraggiungibile. Non bastano certo le 100 lire cantate da Gianni Morandi per varcare oggi i confini americani: ma certamente basta qualche flash rubato sui cataloghi, tra i racconti di viandanti o sui libri di scuola per sognare, almeno per un istante, d’essere sulle spiagge dorate di Baywatch, sulla collina che sovrasta Hollywood o lungo quella carreggiata resa famosa dai casinò di Las Vegas. Perché l’America, da tempo immemore, è città gemellata con il Paese dei Balocchi tratteggiato dal buon Carlo Collodi nel suo Pinocchio.
Chi scrive s’è appena imbarcato, scortato da un gruppetto giovane, sul volo che da Miami riporta verso Venezia passando per Madrid. Due settimane di studio son bastate per iniziare a sgonfiare dalla memoria immaginativa la tanto cantata terra scoperta da Colombo, primo italiano in America. Perché anche il divertimento, quand’è eletto a dogma centrale di una mentalità, a lungo andare stanca. Come stancano quella lunga fila di limousine oscurate, di Hammer esagerati e di fastosi palazzi – costruiti tutti in serie nella più bella tradizione della noia americana – che a tutto concorrono fuorché ad accendere nell’animo giovane la creativa possibilità di idearsi un’esistenza in proprio. Se l’America è mamma di tante aspettative, più di qualcuno converrà nel rimproverarne la sua femminile pedagogia: quel suo modo di saziare le domande prima ancora che vengano poste per bloccare sul nascere tutto quello che, magari, potrebbe disturbare la sua innata scanzonatezza. Cosa direbbe il Piccolo Principe dello scrittore francese qualora passeggiasse tra le vie – tutte in serie pure quelle – di Miami e scoprisse che le botteghe degli artigiani sono scomparse? Perché dove tutto è “in serie” l’originalità è bandita, la cura del particolare scoraggiata e la paziente crescita della creatività impedita dal frastuono. Sembra strano che proprio su questi dogmi l’America abbia innalzato il suo fascino e la sua sospettosa accoglienza: qualunque sbarchi in aeroporto è un potenziale terrorista dopo il loro 11 settembre. Mitra caricati, sceriffi ovunque e quella schedatura fino all’osso che ti fa sentire in qualsiasi posto fuorché a casa tua.
Ma l’America è l’America direte voi: e avete pure ragione. Ma anche a Babele – ed eravamo solo nei primi giorni della creazione biblica – tentarono di costruire torri che sfidassero il cielo: e tutt’oggi di quelle torri gli uomini di ogni cultura e razza contemplano il pugno di polvere rimasto ad emblema del cantiere edile più fallimentare della storia. Come sulla terra di Ground Zero a torri abbattute. Rimane l’America colorata nei sogni dei bambini: quella di Topolino e Mickey Mouse, dei grandi parchi divertimento di Orlando e delle bagnine di Baywatch. Ma quella è solo una faccia dell’America: quella che cresce presentando il prezzo di una civiltà che ha puntato tutto sul divertimento, sul PIL e sulla voglia matta di dettare legge al mondo intero. Chi passeggia in zona capisce ben presto che non basteranno i sogni di rivincita di un Presidente Nero a cambiare il corso di una nazione perché rimane sempre vera la sapienza delle vecchie massaie, quella che assicura come sia più facile da povero diventare ricco che da ricco fare i conti con la povertà: economica, cultura o semplicemente di stile di vita.
Paperon de Paperoni e Minnie continueranno nei loro fumetti a cantare la ricchezza, lo sfarzo e la musica. L’importante è far capire ai bambini che stanno solamente leggendo un fumetto: e che quella è l’America. Non il mondo.

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