ratzingerIl presente del cristianesimo è nell’amabile chiarezza di uno straordinario uomo di nome Benedetto XVI: in tempi ambigui per la gestione del fatto cristiano da parte di una grossa fetta di gerarchia eccelsiastica, è nella figura di quest’uomo amante e rispettoso della Verità che possiamo ritrovare la freschezza delle nostre radici cristiane. Quello nella sua Germania natale era un viaggio tutt’altro che semplice: eppure ha saputo stupire il Parlamento Tedesco senza usare toni moralistici, ha risposto con un’eleganza discreta alle contestazioni, non ha smosso di un millimetro la convinzione che lo abita da sempre: il cristianesimo ancora oggi ha una valenza di umanizzazione elevata per l’uomo di ogni latitudine. Un viaggio apostolico (il ventunesimo di un uomo ultraottantenne, ndr) denso di gesti simbolici e di denunce eleganti.
Solo chi conosce diritti e doveri del conoscere la Verità sa umilmente chiedere scusa mostrando una comprensione che avrà arrecato scompiglio tra i Sacri Palazzi di Roma: “posso capire che di fronte a crimini come gli abusi commessi da alcuni sacerdoti (…) qualcuno dica: questa non è la mia Chiesa, non posso più stare con questa Chiesa”. Affermazione che non è una vertiginosa calata di pantaloni ma una denuncia implicita rivolta alla Chiesa stessa, quasi a dirle “chiedi pure l’onore e la fiducia al mondo ma tu per prima dimostrati onorabile e credibile ai suoi occhi”. Perchè se il cristianesimo è una forma di umanizzazione deve arrecare all’uomo quella dolcissima sensazione di sentirsi elevato a più alti misteri e non umiliato a disumanizzanti nefandezze. E’ in quest’ottica che risalta ancora di più il gesto ecumenico da lui compiuto nella Chiesa dell’ex convento degli agostiniani di Erfurt, laddove Martin Lutero ha dato inizio alla riforma che ancor oggi reca il suo nome. Dentro quelle mura Benedetto XVI – lungi dal voler invitare a seguire lo strappo di Lutero – ne ha però messo in luce la validità per il cristiano di oggi: la scottante domanda di Lutero – “come mi trovo io davanti a Dio?” – deve diventare di nuovo e in maniera magari nuova anche la domanda dei cristiani di oggi.
Col passare degli anni colpisce sempre più la ricchezza di stile e di contenuto di Benedetto XVI: forse allergico e un po’ a disagio con le adunate oceaniche, con la pazienza del monaco certosino sa cogliere le sfumature più significative del messaggio cristiano per fondare su di essere il dialogo con l’uomo moderno. Il tutto senza annacquare il messaggio di Gesù di Nazareth e senza umiliare i desideri e le aspettative dell’uomo e della donna che vanno cercando Dio nell’intricato vivere quotidiano. Umile ma mai banale, apparentemente silenzioso ma non ingenuo, anziano anagraficamente ma zampillante nel pensiero, questo Papa ha salutato la Germania con una tirata d’orecchie colossale ad una parte di mondo cristiano quando – forse ispirato dal Vangelo della Vigna e dei due figli della scorsa domenica – ha ricordato che sono più vicini a Dio certi non credenti inquieti di tanti cristiani di routine. Detto da un Papa è la condanna luminosa ad una forma di cristianesimo che – pur avvezzo agli incensi e alle giaculatorie di parrocchia – non è più capace di incidere nella quotidianità della storia. Come se qualche cristiano – si potrebbe scorgere nelle parole del Papa – avesse corso il rischio di vivere su un’ambiguità: essere cristiano senza diventarlo, praticante senza un cammino di fede, quasi un turista distratto salito su un treno del quale ignora la provenienza e, forse, la destinazione ultima. Salito perchè era di moda salire.
Temo che un Papa così luminoso troverebbe le parole giuste pure per condannare il pornocristianesimo odierno italiano. Se qualche suo cardinale (che invitiamo alle dimissioni) lo lasciasse libero di testimoniare la Verità.

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