Quando scrisse Il deserto dei Tartari lo scrittore bellunese Dino Buzzati confessò che l’ispirazione gli venne dal fastidio arrecatogli dalla routine quotidiana che si svolgeva nella redazione del giornale. Giovanni Drogo, il protagonista, arriva alla Fortezza convinto di ripartire subito ma dopo poco si trova prigioniero di se stesso: è convinto di avere tutta la vita davanti e di poter disporre a piacimento del tempo attendendo la grande occasione. In lui si combatte una fastidiosa battaglia: da una parte il desiderio di scappare perché dall’orizzonte i Tartari non arriveranno mai e dall’altra parte il presentimento che da quel confine un giorno arriveranno “cose fatali”. Cede al presentimento e si adatta alla Fortezza con le sue rigide regole della disciplina militare. Dopo 15 anni s’accorgerà di quella sera nella quale “fece le scale un gradino alla volta”: è stato l’inizio dello sperpero del suo tempo. Della sua esistenza che forse è stata “una specie di scherzo”. Quando i Tartari attaccheranno per davvero, lui dovrà lasciare la Fortezza per morire da solo in un’anonima locanda di città.
Il personaggio tratteggiato da Buzzati potrebbe essere il santo patrono (seppur profano e non riconosciuto dalla Chiesa) del mese di settembre: forte ad ogni ripartenza è la tentazione di ripetere gesta e consuetudini dell’anno appena mandato in pensione pur di non accettare la creatività insita in ogni scelta da rischiare. La stagione – politica, ecclesiale ed educativa – non sembra essere delle migliori per sferrare un attacco vincente. Eppure i vecchi che possiedono il fiuto imprenditoriale assicurano che è nei momenti di maggiore crisi che chi tiene i soldi aspetta l’occasione di investirli: i prezzi si abbassano, qualcosa si svende, un po’ tutto si ribassa e chi si fa trovare pronto inizia a costruire il suo piccolo guadagno. Lo stesso principio potrebbe valere per la nostra esistenza stessa: quando tutto sembra venire meno i primi a soccombere sono gli improvvisatori che si trovano costretti a lasciare il posto a chi nel silenzio prima aveva affinato le armi. L’alternativa – che è sotto gli occhi di tutti – è quella firmata da Giovanni Drogo e non solo: aspettare una vita intera che arrivino “cose fatali” (il celebre colpo di fortuna) per passare alla storia senza pagare il giusto prezzo. Oggi che il “deserto dei Tartari” sembra creare fascino e suggerire malvagia prudenza in varie Fortezze, chi non vuole fare la fine del personaggio di Buzzati dovrà accettare il rischio di giocarsi la propria chance. La cronaca quotidiana – quella che le cronache non raccontano – attesta che molta gente in questi anni ha fatto suo lo stile dell’anatra: sopra l’acqua sembra procedere lentamente, eppure sotto l’acqua le sue zampette fanno un lavoro massacrante che ai più rimane nascosto. Ogni anno settembre riserva sorprese inaspettate: gente che sembrava anonima in realtà sotto s’è allenata duramente per farsi trovare pronta al momento giusto. E scattare.
Tornano a gracchiare le campane della pieve e le campanelle della scuola. Oltreché le campane di turno che anche quest’anno s’inaugureranno. Giocare con i santi è affare sconsigliato nella Chiesa, ma Giovanni Drogo non è da lei riconosciuto. Cosicché nessun prelato s’arrabbierà se qualcuno maledirà questo santo profano che, senza accorgersene, ha indottrinato su come riuscire a sprecare una vita posticipando le occasioni. Supplicando la Vergine Santissima che il popolo dei Tartari si decida sul da farsi di fronte alla Fortezza della Chiesa: o attacca o assicura di non farlo. Perché il presentimento di “cose fatali” (che magari mai arriveranno) rischia di paralizzare la speranza.