Dio Aggiusta-tutto

Le profezie adempiute

La terza domenica, nel Rito Ambrosiano, è quella delle profezie adempiute: l’invito è – conseguentemente – quello di guardare a Cristo come al compimento delle attese. Non solo di un popolo – quello di Israele, “primogenito” di tutti gli altri popoli, per elezione di Dio – ma, per mezzo di esso, delle attese di ogni popolo e d’ogni uomo.

Da Israele, una salvezza cosmica

La prima lettura, tratta dal profeta Isaia (Is 51, 1-6) esprime proprio questo dinamismo della salvezza. Dapprima, si rivolge al popolo del signore, richiamando alla memoria gli antenati illustri: Abramo, come padre e Sara, come madre. Non a caso, un popolo figlio di una generazione miracolosa, colpito dalla piaga della sterilità, che ne ha messo in discussione la stessa continuità generazionale.

In soccorso dei “rottami”

Dio, tuttavia, è accorso in soccorso d’Israele, ne ha raccolto i cocci e li ha rimessi assieme. Questo il volto di Dio che ci presenta la Prima Lettura: un Dio misericordioso, paziente, che vide ciò che è rotto non come una disdetta o un’incombenza, di cui disfarsi, al più presto, bensì, come qualcosa bisognoso di cure, cui dedicare tempo, affinché possa tornare a risplendere della luce che – originariamente – possedeva. Le rovine diventano motivo di pietà, per il cuore di Dio; il deserto e la stoppa si trasformano in un giardino, rigoglioso e fiorito. Quasi a suggerirci che la prima trasformazione, necessaria ed ineludibile, è quella di uno sguardo che sappia “anticipare” il sopraggiungere della bellezza col desiderio che essa sia raggiungibile.

Le mie “rovine”

Forse, a volte, anche noi ci lasciamo andare al peccato peggiore, secondo Evagrio Pontico e i padri del deserto, cioè quello della tristezza, ammantando le nostre cadute con un tratto di assolutezza che finisce per diventare ostacolo all’azione della grazia. Ma se lo sguardo di Dio, eni confronti delle rovine di Sion è di pietà, non di condanna, c’è speranza, anche per le “rovine” di ciascuno di noi. Nessun fallimento può sovrastare la capacità perdonante di Dio. Anzi, ciò che suggerisce la lettura profetica è che proprio i frammenti disastrati della nostra vita possono diventare punto di partenza per costruire un nuovo progetto d’amore, per rinnovare il patto d’alleanza con quel Dio ci anticipa nell’amore.

In cerca di giustizia: il cerchio si allarga

La ricerca della giustizia non può certamente arenarsi nell’esclusivo popolo d’Israele, lasciando fuori il resto dell’umanità. Ecco, quindi, il dinamismo di allargamento del cerchio, rispetto ai destinatari iniziali. Cercatore di giustizia può infatti essere qualunque uomo, che si volga alla ricerca di essa, che si domandi dove stia il bene e come farne il centro della propria vita. La storia d’ogni uomo è unica e preziosa: la fede non è scontata, è un felice incontro tra la disponibilità del singolo e la rivelazione di Dio, che avviene solo nell’autenticità. Può essere necessario tempo, ricerca, a volte anche dolorosa fatica.

Una preghiera, che è un auspicio

Per questo, con la liturgia dei Vespri del lunedì della III settimana del salterio, è bello lasciare risuonare nel nostro cuore la preghiera:

“A quanti cercano la verità, concedi la gioia di trovarla, e il desiderio di cercarla ancora, dopo averla trovata”

(magari dandole un volto ed un nome, quelli di una persona che conosciamo e sappiamo essere amante della verità, anche quando costa fatica). O magari, anche solo, affinché diventi l’augurio che la ricerca del volto rimanga, giorno dopo giorno, una sfida che non annoia mai…

I discepoli del Battista

Il quinto capitolo del Vangelo di Giovanni (in particolare: Gv 5, 33-39)sembra costituire una legittima continuazione del libro profetico. Le opere che Cristo compie (i miracoli), ma anche la sua stessa vita (sia nel complesso, sia nell’addensamento che è rappresentato dalla conclusione della sua esistenza terrena) sono un chiaro richiamo ad una salvezza che si è fatta tangibile, una giustizia che ha preso materialità. Chi cerca la verità, dopo Cristo, sa che questa può avere un volto ed un nome.

La Parola, Viva

“Se lo vedessi, qui, ora, crederei” dice qualcuno. Il brano evangelico suggerisce l’opposto.
Il Battista predicò l’avvento di un Messia liberatore, invitando a prepararsi a questo evento, nella preghiera e nel digiuno. Il suo messaggio fu giudicato perturbante l’ordine pubblico e fu decapitato.
Cristo disse di essere lui il Messia atteso, condividendo la tavola con i reietti della società, affinché nessuno si credesse escluso dall’invito di Dio. La sua stessa presenza fu ritenuta scandalosa e imbarazzante, perturbante l’ordine pubblico: fu decretata la sua crocifissione.
La Parola di Dio, ancora oggi, interroga la nostra vita e, come allora, se accolta in profondità, chiede di capovolgere il nostro sguardo per (tentare di) aderire a quello divino.


Rif. Letture festive ambrosiane, nella III domenica di Avvento, anno B

Fonte immagine: Pexels

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