Il vuoto: c’è chi lo legge come un’assenza del tutto e c’è chi lo legge come un’esperienza mistica. Stasera, nel silenzio spettrale di una Piazza San Pietro che somiglierà al suolo lunare, questo vuoto tornerà a vibrare nel cuore di colui che crede, di chi non crede, di chi si affanna a cercare ragioni per credere o per disperare. Ancora una volta, comunque lo si legga, ci sarà questo vuoto a disposizione: «L’esperienza del vuoto è la tentazione mistica del non credente, la sua possibilità di preghiera, il suo momento di pienezza» scrive E. Cioran. Un vuoto che Papa Francesco, per la seconda volta nella Quaresima, sceglie come palcoscenico per una conversazione notturna col mondo degli umani: stasera, rivivendo il gesto liturgico di Cristo che sale al Calvario, la Via Crucis, il Papa si ripresenterà in piazza come Pontefice, ponte tra Cielo e Terra, a metà strada tra la passione di Cristo e le passioni di tutti i crocifissi della storia. Non il Colosseo delle belve come sfondo, bensì la più intima di tutte le piazze. Vuota, però.
Vuota e solitaria: di quella solitudine che pare abbandono, ma non lo è per nulla. Questa volta ha chiesto al mondo del carcere, l’emblema dell’abbandono massimo, di prestargli la voce per dialogare con il cuore dell’uomo, della donna. Lui che, tante volte, la presta a loro perchè la loro ha divieto di volume nel caos di voci delle nostre città. Stavolta, però, la sua scelta inquieta e tormenta come non mai. Quando ha bussato alla porta della Casa di Reclusione “Due Palazzi”, la pandemia ch’è in atto era un qualcosa di lontano, d’inaudito, di oscuro. Mica poteva immaginare, mesi fa, che il Venerdì Santo di quest’anno il mondo intero si sarebbe trovato agli arresti domiciliari dentro-casa. Che il Papa sarebbe stato carcerato nel Vaticano, che la Via Crucis sarebbe stata vissuta nella ristrettezza di una piazza. Non lo poteva immaginare l’uomo Jorge Mario: l’ha fiutato, però, l’uomo Francesco, lo scafandro di carne dentro la quale s’è inabissato lo Spirito e la sua profezia. “Attrèzzati bene, questa volta – gli avrà bisbigliato quella voce interiore di cui ciecamente si fida -: solamente chi ha già perduto la libertà potrà, quella sera, parlare al cuore di chi la libertà la sta vivendo a spizzichi”. Il resto è la vita al tempo di un’emergenza: un paese popolato di capitomboli e di incontri, di Veroniche e di Pilati, di cirenei e di malfattori. Di madri, di tribunali e di pretori. E’ la passio-Christi che diventa passio-hominis, il patire di Cristo si intreccia con la tribolazione dell’uomo. Ogni uomo vorrebbe essere Dio: senza la croce però.
Il guadagno di quest’incontrarsi è una contaminazione di voci, una sorta di trasfusione di sangui: «Ho letto le meditazioni delle quali mi avete fatto dono – ha scritto il Papa in una lettera autografa fatta recapitare come grazie personale -: ho preso dimora nelle pieghe delle vostre parole e mi sono sentito accolto, a casa». E’ la riedizione del bellissimo gesto compiuto dall’altro Francesco, quello di Assisi, con il lupo di Gubbio. Aprì una trattativa privata: si fece promettere dal lupo che non avrebbe più spaventato la gente. Ottenuta la promessa, bussò alle porte di Gubbio chiedendo alla gente di fidarsi di Francesco: il lupo non avrebbe più fatto paura. Quando il lupo morì, Gubbio si rivestì a lutto: si erano affezionati a vicenda, conoscendosi. Nessuna conoscenza, poi, sarà mai più vera di quella nata lungo la salita di un calvario: nell’attimo in cui il cuore si frantuma, l’animo si fa stanco di mentire a se stesso, agli altri. Si è tutti nudi a guardare il dolore in faccia. «Ecce homo!», disse Pilato di Cristo, a mò di sfottò. Disse la verità.
Molti, su Dio, hanno messo una croce sopra. Dio, per tutti, si è messo una croce sopra. Su per il Calvario ha indosso verbi di pesantezza: «Condannato, caricato, caduto tre volte, spogliato, inchiodato, morto, deposto». Verbi sudati, tribolati. Accarezzati da gesti di donne: «Incontra Veronica, la Madre, le donne di Gerusalemme». Sono verbi di ieri, oggi, sempre: «Grazie – continua il Papa – perchè nella Via Crucis presterete la vostra storia a tutti coloro che, nel mondo, condividono la medesima situazione». La condivisione, spesso, è una necessità che si fa virtù: è il Cristo che chiede un passaggio, una consolazione, un gesto del cuore a chi, per la strada, ne incrocia il suo Volto sfigurato. “E’ tutto finito!”, dirà qualcuno rivedendo quella piazza taciturna. “Qui, dove tutto può reiniziare” diranno altri ascoltando le faccende di detenuti e vittime, magistrati e volontari, educatori e agenti di Polizia, catechisti, familiari, innocenti. Ogni anno è sempre la solita Via Crucis. Ogni volta resta sempre la prima: la sofferenza, la bellezza, quando torna non torna mai vestita come la volta prima. Amano la sorpresa.
Il Calvario, stasera, è una piazza deserta nella quale risuonerà l’eco di storie venete, storie di crocifissi e crocifissioni: «La salvezza passa attraverso una croce e un Cristo crocifisso» (A. Murray). C’era assolutamente più gente a Gerusalemme nel primo Venerdì Santo. Il caos, tuttavia, è un inganno: si può essere soli nel deserto, si può essere molto più soli in mezzo agli uomini. E’ l’eredità del Piccolo Principe di Saint-Exupéry, è quella di Cristo: il vuoto non è lo spazio dove cadi, ma il tempo dove resti ad aspettare chi vorresti accanto. “Mauro, com’è la Via Crucis in cella?” mi è venuto da chiedere ad uno dei nostri l’altro ieri: «Immagina: il corpo da una parte e il tuo cuore dall’altra. Senza testa, in mezzo il vuoto. Più o meno è così, qui dentro». Ti saluto, o Croce Santa.
(da Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova Venezia, Il Corriere delle Alpi, 10 aprile 2020)
Testo autografo del biglietto del Papa
«Cari amici della Parrocchia Due Palazzi di Padova, ho letto le meditazioni di cui mi avete fato dono tutti assieme: ho preso dimora nelle pieghe delle vostre parole e mi sono sentito accolto, a casa.
Grazie per aver condiviso con me un pezzo della vostra storia: Dio racconta di sé e ci parla dentro una storia, ci invita all’ascolto attento e misericordioso.
Voglio ringraziarvi anche perchè avete disperso i vostri nomi non nel mare dell’anonimato ma delle molte persone legate al mondo del carcere. Così, nella Via Crucis presterete la vostra storia a tutti coloro che, nel mondo, condividono la medesima situazione. E’ consolante leggere una storia nella quale abitano le storie non solo delle persone detenute, ma di tutti coloro che si appassionano per il mondo del carcere.
“Insieme” è possibile. Vi abbraccio forte.
Anche se sono certo che don Marco ve lo ricorda sempre, ve lo chiedo: pregate per me. Vi porto sempre nel mio cuore. (Francesco)».