anzianaUn rintocco di campana, un ramo di mandorlo fiorito, polvere di calcinacci sui prati: è il mattino di Pasqua a San Demetrio, Filetto, Pescomaggiore, Monticchio, San Gregorio, Casentino, San Pio delle Camere, Camarda, Tempera, Paganica, Bazzano, Ocra, Poggio Picenze, Sant’Eusanio, Villa Sant’Angelo. Borghi spettrali dell’Abruzzo terremotato: nomi da Venerdì Santo della storia. Eppure stanotte anche lassù – dove per scaldarsi si bruciano i telai ammaccati sulle carriole – ha iniziato a svegliarsi la Pasqua di Risurrezione. Nella notte silenziosa e spaventata della loro vallata, un grido è risuonato come in quel lontano mattino di Pasqua sulle colline di Palestina: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E’ risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: E’ risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete” (Mc 28,5). Ieri, oggi, sempre.
Dentro il sepolcro delle macerie, oggi torna a rinascere la speranza. Negli occhi delle madri addolorate, dei figli disperati, dei vecchi “cafoni” quasi rassegnati. Delle famiglie spezzate, dei sogni infranti, degli sguardi confusi. Venerdì all’alba erano tutti lì, attoniti e muti, sul piazzale della Scuola di Finanza. Composti, dignitosi, feriti: ma tutt’altro che rassegnati. Dall’altare mi sembrava d’assistere “in presa diretta” al prodigioso duello tra la vita e la morte, tra il terrore e la dignità, tra la tentazione di mollare tutto e la voglia di rinascere per l’ennesima volta. Sopra l’altare, in fronte a quelle duecento bare in partenza verso l’Eterno, campeggiava provocatoria l’antica frase latina del motto araldico che dal 1933 identifica il Corpo della Guardia di Finanza: “Nec recisa recedit” (“neanche spezzata retrocede”). L’annuncio più bello di cosa significhi oggi celebrare Pasqua tra le macerie. Perchè il Vangelo prima d’essere un libro scritto d’inchiostro è un grido dipinto sui volti dei testimoni della Pasqua.
E da Tempera, borgo semi-distrutto, viene recapitata oggi sui davanzali delle nostre case una cartolina commovente per augurare “Buona Pasqua” all’umanità che porta un cuore triste. E’ la storia anonima di Maria d’Antuono, 98 primavere sistemate sulle spalle e una vita di obbligate ri-partenze. Rimase prigioniera 30 ore sotto le macerie prima che un angelo, vestito da pompiere, intercettasse il suo respiro e la liberasse. Sotto le macerie ha vinto l’attesa lavorando con l’uncinetto: cioè non spegnendo dentro l’animo la speranza di tornare a vivere, di tenersi sveglia e attenta. Invitata dai soccorritori ad uscire da quell’inferno, ha chiesto solo una gentilezza: “Almeno fatemi pettinare”. E’ un’immagine meravigliosa della Pasqua di quest’anno: sotto i calcinacci di un terremoto, dentro il dramma più oscuro, nel fondo dell’inferno della natura c’è ancora la possibilità di sognare giorni migliori. Saputo che doveva tornare tra la gente, ha chiesto di pettinarsi. Cioè d’essere bella, dignitosa, composta. Questa è la vera Pasqua: passare sotto le macerie del Venerdì Santo, attendere silenziosi tutto il Sabato Santo e uscire da quei sepolcri “pettinati”, vestiti di quella bellezza che tanto invade l’animo di tutti i personaggi che oggi nel Vangelo corrono commossi, stupiti, entusiasti. E’ una corsa contro il tempo: occorre annunciare a tutti che la Morte è stata vinta per sempre. Che l’Uomo appeso alla Croce ha vinto la partita della storia.
Ho contemplato quella mamma aggrappata alla bara del suo bambino. Lei come Maria di Nazareth. “Raccontaci, Maria – recita commossa la sequenza di Pasqua -: che hai visto sulla via?”. E lei esplode: “La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto. Cristo mia speranza è risorto”.
Pettiniamoci: siamo stati liberati dalle macerie.

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