Poiché l’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
(2 Corinzi 5, 14 – 20, brano scelto per la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani 2017)
L’unità dei cristiani si rivela come auspicio, augurio, intento di unità perché essa possa essere segno visibile dell’amore di Dio. Tuttavia, al contempo, non è possibile prescindere dal valore intrinseco delle differenze, nella costruzione del proprio sé. Accogliere l’altro, chiunque esso sia, con la sua ricchezza che mi interroga, proprio perché diverso da me, dovrebbe essere la chiave di lettura privilegiata a fronte delle sfaccettature offerte dall’attuale realtà ecumenica, con la quale siamo chiamati al dialogo, soprattutto nei riguardi di quelle Chiese con cui condividiamo la sequela dell’Unico Maestro.
Nel cinquecentesimo anniversario dalla proclamazione delle 95 tesi, è inevitabile interrogarci al riguardo e imprescindibile un confronto, che per me è sempre immediato, con un altro grande personaggio del cristianesimo, cioè san Francesco d’Assisi. Quest’ultimo evidenzia come sia possibile segnalare e condannare il marcio presente all’interno di un’istituzione, senza per questo rinnegarla. Una scelta di innegabile coraggio, dal momento che il Poverello era oltremodo consapevole dei rischi concreti di incorrere in una scomunica che stava correndo per quelle sue idee forse un po’ folli, sicuramente originali e, a proprio modo, rivoluzionarie. Francesco non ha fatto cessare il Male nella Chiesa, dal momento che, secoli dopo, Martin Lutero denunciava soprusi assai simili. Ma ha scosso le coscienze e creato un “precedente”, cioè una nuova forma di consacrazione a Dio. Del resto, però, accanto al coraggio di correggere chi ami, è necessaria anche la disponibilità ad accogliere tali correzioni. Non dimentichiamo, in questa direzione, il coraggio di Francesco di tentare il dialogo persino con chi aveva una fede completamente diversa dalla sua (il sultano di Babilonia), gesto rivoluzionario e profetico, riuscendo conciliare l’ascolto e la fermezza della propria identità (perché, senza identità, non si dà mai vero incontro con l’altro).
Sulla via dell’unità, è necessario quindi scegliere la Croce, che significa de – centrarsi e accogliere la realtà anche quando è diversa dalle nostre aspettative, fino a vedere il mondo con occhi diversi, per cogliere la bellezza altrui e promuovere il bene dell’altro.Siamo partiti insieme, ci ritroviamo ora divisi da differenze, sempre più profonde, dovute anche esperienze variegate nel corso del tempo. In questo ambito, come in molti ambiti della vita, confesso che, di fronte all’auspicio di un’unità che sia segno tangibile di un’unione di intenti, di una coesione di spiriti e di una more vicendevole, rimane il dubbio, però, che se ciò avvenisse a discapito della valorizzazione delle nostre differenze, rischieremmo di perderci tutti.
Credo infatti che, a livello ecclesiale, valga lo stesso principio che vale a livello interpersonale: le persone non cambiano se glielo chiedi, ma – piuttosto – trovano la forza di cambiare se tu – prima – le ami incondizionatamente (quindi: a prescindere dal cambiamento, che potrà, eventualmente, avvenire in seguito e favorire un avvicinamento). Ecco quindi perché la stima, che nasce da un dialogo schietto e sincero, è il primo motore che può portare ad un riavvicinamento progressivo e quindi vero e profondo (perché le cose vere non arrivano mai “di botto”).
Qual è la strada verso l’unità che assicura il dovuto rispetto della nostra diversità? Quale il cammino da intraprendere perché il mondo possa bere alla sorgente della vita, Gesù Cristo?
Il dialogo procede da anni ormai, con alterne fortune, nella consapevolezza, però che non è suo compito eliminare le differenze tra le varie confessioni, ma favorirne la reciproca valorizzazione, all’insegna della vera carità cristiana, che ambisce a promuovere il bene altrui, secondo la logica della Croce, che ci chiede di decentrarci e non partire sempre e solo da noi stessi.
Nell’emisfero Nord, la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani cade tra due date altamente simboliche, cioè il 18 gennaio (cattedra di san Pietro) e il 25 gennaio (conversione di San Paolo); siccome nell’emisfero Sud questo periodo coincide con le vacanze, in genere tale settimana è invece celebrata nel tempo di Pentecoste.
Proprio quest’ultima solennità, forse, ci indica la strada maestra: riuniti nello Spirito, condividendo i Suoi doni, la chiamata è innanzitutto alla condivisione di ciò che ci unisce (Cristo che ci ha riconciliati a sé), nella promozione delle singole peculiarità, perché solo quando riesco a vedere il bene nell’altro, posso avvicinarmi a lui con la fiducia necessaria.
La vera sfida, è, del resto, quella di armonizzare i nostri carismi in un mosaico multiforme e colorato, che sappia valorizzare ogni elemento nell’armonia del tutto.
Buona settimana!
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