Seduti
fuori dalle loro vecchie stalle, odorose di strame ed elaborate di sapienti
verità, i vecchi d’un tempo non erano afflitti dalla mania del "posto-fisso": s’ingegnavano
la vita giorno dopo giorno, ritmati dal calar di luna e dallo spuntar dell’alba,
di mietiture, semine e fioriture. Di raccolti, tempeste e acquazzoni estivi. E
ogni mattina, all’alba, ri-azzeravano il loro curriculum e ri-partivano a giocarsi le loro 24 ore di vita. La
malattia del "posto fisso" venne dopo: quando l’uomo decise di complicarsi la
vita. Di pianificare le vacanze mesi prima, di tradire la fantasia e accasarsi
con la ragionevolezza. Ma con il posto fisso arrivò in busta paga il primo
contributo da versare: l’adesione al fan-club dell’abitudine. Così il lavoro da
passione divenne impegno, l’impegno si trasformò in peso e il peso divenne
tristezza settimanale. Ma il "posto fisso" assicura la tintarella estiva, la
quattordicesima, i fine settimana fuori porta. Ma son sempre più convinto che
mentre prendeva la tintarella in spiaggia sotto l’ombrellone, anche Leonardo da
Vinci era uguale a tutti gli altri. Era normale, non faceva parlare di sè. Quando
s’alzava e prendeva la sua tavola di colori, però, danzava la differenza
geniale che teneva nascosta. E che, sotto l’ombrellone, se ne sarebbe stata
piegata accuratamente in quattro.
La mia è
la "generazione del posto fisso". Per necessità fai il casellante a 17 anni ma
il dramma è che sogni di rimanerci a vita. Oppure il banchiere. Il benzinaio.
Il commesso. Magari non ti realizza, ma il gruzzoletto di soldi è assicurato. Quando
a 20 anni si potrebbe rischiare qualcosina in più, tentare di giocarsi la
fantasia, rivestirsi di qualche sfida. Buttarsi in un’impresa. E, magari, al
posto delle vacanze, finchè sei giovane, andresti all’estero a studiare, a
imparare, a conoscere. A sudare per poi applicare. E far sognare. Forse è vero
che la necessità a volte trasforma in virtù pure ciò che non vorresti, ma
troppi giovani oggi non sanno più sognare. Non vogliono sognare, si rifiutano
di immaginare un futuro diverso. Li trovi spenti da giovani, a spingere un
carrello pur di non stare chini sui libri ed accendere il cervello. Chi da
giovane non sfrutta le possibilità che il cervello mette a disposizione, sarà
come i vacanzieri del tempo di Leonardo Da Vinci: rimarrà un perfetto anonimo
per la storia. Certo: sfoggerà tintarelle, creme abbronzanti, Suv da capogiro
ma nella testa rimarrà un precario a vita. Cioè un non-acceso. Un accontentato.
Un’occasione
persa. Che meraviglia, al contrario, la testardaggine di certi ragazzi/e nel
pieno della giovinezza: li vedi gareggiare nelle biblioteche per accendere
l’idea più immaginativa, li vedi salpare d’estate per andare a studiare,
l’incroci coi libri di giorno, a lavare i piatti la sera, ripassare all’alba.
Distrutti la notte dalla stanchezza. Ma t’emozionano: perché intuisci che il
precariato, se sei giovane, è una malattia che scegli di sposare. Gli
ombrelloni ai tempi di Da Vinci oggi sono i bar e i bicchieri di vino, gli
spuntini e i tramezzini, le ore buttate nella vasca del centro e la noia
portata a spasso. Fidanzamenti fasulli e precoci che cancellano il dovere
faticoso della giovinezza. Per questo il precariato, se sei giovane, non è un
destino: è una scelta.
C’è "tutta la vita davanti" – recita il
titolo di un film sul precariato -. Ma come sarà la vita dipende da noi: da
precari, da mediani o da fuoriclasse.
Un
aperitivo in meno nello stomaco e un pensiero in più nell’anima potrebbero
trasformare in sorriso 8 ore al giorno: le ore lavorative.
Il resto
sarà figlio di quel precariato rigettato!