Quando accadono episodi di cronaca raccapriccianti, con protagonisti minorenni, ne siamo tutti coinvolti. Perché sono così simili ai nostri vicini di casa, ai figli dei nostri amici, ai ragazzi delle scuole del nostro quartiere. Tutti così pertinacemente desiderosi di essere se stessi, tutti, così spesso, tremendamente fragili ( e molto più soli di quanto saremmo portati a pensare di primo impatto).
Ricostruire la verità dei fatti è indispensabile, affinché possa esserci misericordia. Senza guardare in faccia il Male, senza ricostruzione della verità e presa delle responsabilità, non è possibile né la giustizia, né (tanto meno!) il perdono). sono tutte operazioni che richiedono, quale conditio sine qua non la verità. La esigono!
Alla rabbia del popolo, che cerca, spesso, più vendetta che giustizia, serve un assassino. Al desiderio di verità e giustizia, serve invece l’assassino. Quello vero, anche se si tratta di un insospettabile, o di un nome scomodo da pronunciare.
Per questo c’è bisogno di tempo, indagini accurate e soprattutto libertà dai condizionamenti. Mi auguro che tutto ciò possa avvenire davvero, al contrario di alcuni episodi di cronaca, le cui ricostruzioni giudiziarie si sono alla fine rivelate contraddittorie e lacunose.
Non entro in merito alla vicenda, spero sia fatta giustizia, tuttavia se sia il ragazzo che il padre sapevano dove si trovasse il corpo (mentre il resto del paese era ancora intento a cercare, nei pressi, una ragazza scomparsa), è logico supporre che ambedue c’entrino parecchio con questa storia ed abbiano qualche responsabilità (quali e quante, lascio a chi di dovere il compito di farlo).
Dalle immagini, dalle indagini e dalle testimonianza, risulta che fosse già in essere, prima di quanto accaduto, una certa conflittualità, tra le famiglie. Ed eventualmente, anche all’interno delle stesse. Ma, parliamoci chiaro: quale famiglia con figli adolescenti non ne soffre, almeno in parte? Sappiamo tutti quanto sono difficili quegli anni, dove la volontà di essere liberi dei figli spesso si scontra, prima ancora che con le idee genitoriali, con la propria inadeguatezza ed immaturità. Paradossalmente, poi, è innegabile che la conflittualità strisci, in agguato, proprio nei rapporti più stretti. È quando ci tieni che vai più in profondità, che parli anche di quegli argomenti che sai essere, potenzialmente, punti di conflitti. Quegli argomenti che, in modo più o meno volontario, eviti con i semplici conoscenti o vicini di casa, con cui abbiamo la tendenza ad instaurare dialoghi brevi e “neutri”, così da allontanare lo spettro dei litigi per futili motivi dalle nostre vite. Perché in famiglia si litiga, tra fidanzati, o tra amici, più che tra vicini (salvo rare eccezioni)? Proprio per questo. Più il rapporto è stretto, più la conversazione si fa profonda e coinvolgente e quindi vengono a galla i punti di attrito potenziale.
Del resto, la conflittualità, sempre presente tra le persone, è la testimonianza stessa del peccato originale, la presenza, cioè, del Male nel mondo e la possibilità, per l’uomo di scegliere liberamente di aderirvi.
Qualcuno, già adesso, accarezza la domanda sul perdono. Francamente, in questo momento, in cui ancora non è chiara neppure la dinamica precisa dei fatti e le responsabilità dei singoli, è probabilmente prematuro. Forse, magari, più tardi. È poco cristiano parlarne in questi termini? Forse, ma è realistico. Il perdono non è mai immediato, né istintivo. Innanzitutto, è sempre un dono e mai una pretesa! È una libera scelta possibile, ma sempre difficile da attuare. In special modo se non si è vissuto in prima persona cosa significhi ricevere misericordia. Se ciò non è accaduto, se non c’è questa esperienza e questa consapevolezza, rischia di essere pressoché impossibile effettuare questa scelta. Tuttavia, sicuramente auguro di poterla esperire (cfr. Mt 18,21-35), perché foriera di serenità, per tutti i soggetti in causa (vittime, colpevoli e loro familiari). È innegabile tuttavia che, spesso sia necessario tempo, fatica e, probabilmente, reciproca disponibilità di ascolto. Per questo, mi pare fuori luogo pensarlo , in un momento ancora così prossimo alla tragedia vissuta, che ha cambiato tutte queste vite.
Non può non essere considerato, del resto, che, in questo preciso momento, la famiglia della vittima sta vivendo un tradimento. Vive la sensazione di aver cresciuto una serpe in seno*.
Si conoscevano, erano loro noti i reciproci domicili, sapevano i problemi delle rispettive famiglie (perché tutte, dove più dove meno, ne hanno!)
«Se mi avesse insultato un nemico,
l’avrei sopportato;
se fosse insorto contro di me un avversario,
da lui mi sarei nascosto.
Ma sei tu, mio compagno,
mio amico e confidente;
ci legava una dolce amicizia,
verso la casa di Dio camminavamo in festa.»
(Sal 54, 13-15)
Quella espressa immagino sia, press’a poco, la sensazione che nasce nel cuore delle vittime, in situazioni come quella dell’omicidio della giovane Noemi. Non è lo stesso sapere che tua figlia è stata uccisa da uno sconosciuto o da uno che conoscevi. La consapevolezza che il colpevole coincida con una persona nota, con un volto conosciuto rappresenta un inasprimento del dolore, della pena e della delusione, per chi ha subito un male così grande.
Poteva starti più o meno simpatico, ma lo conoscevi. Potevi incontrarlo per strada. Ne avevi sentito parlare, tanto basta a rendere la questione molto diversa, a livello di sentire.
Al di là delle conflittualità eventualmente esistenti tra famiglie, pare poi che, addirittura, il giovane fosse stato accolto in casa dalla famiglia di lei, quando questi era stato scacciato dalla propria. Aprire la porta di casa, specie in un’epoca tendenzialmente sospettosa come la nostra, è segno di fiducia, oltre che di disponibilità. La propria casa è il luogo degli affetti e delle sicurezze. Aprire quella porta equivale ad aprire il cuore, nell’accoglienza di qualcuno che, pur non essendo un estraneo, poteva non essere molto conosciuto, né apprezzato. Aprirla, nonostante questo, è un gesto grande.
A fronte di quanto successo, diventa un tradimento che lacera l’anima, qualcosa che, ai nostri occhi, risulta, in un certo senso, persino peggiore dell’assassinio. La mano assassina non è ignota, è ben nota: è la stessa che ha ricevuto aiuto da te. L’ingratitudine, quando tocca picchi simili, diventa un affronto veramente difficile da accettare.
L’augurio è quindi che, con la verità, si possa infine anche raggiungere la pace. Perché se la pace non inizia dai nostri cuori e dalle nostre famiglie, non arriverà sicuramente ad essere realtà tra i paesi. La pace è un cammino, mai facile, che chiede il coraggio di sempre-nuovi inizi.
* Questo detto è utilizzato per indica chi aiuta chi può rivelarsi ingrato o, peggio ancora, pericoloso. La tradizione popolare narra di un contadino che, una sera d’inverno, trovò una vipera assiderata. L’uomo pose sul proprio petto l’animale, nel tentativo di scaldarlo, ma venne morso.