Oggi è la nostra festa. La festa di ciascuno di noi e del desiderio che dovrebbe albergare nel cuore di ogni cristiano, con l’auspicio che possa “contagiare” anche ogni uomo di buona volontà: quello di essere santi. Di percorrere, magari incespicando ogni tanto, la strada che porta a questo ambizioso obiettivo. Che, però, si declina nella semplice quotidianità dei giorni feriale e che i santi stessi ci dimostrano percorribile e alla portata di chiunque.
San Tommaso d’Aquino, del resto, rispose, ad una domanda di sua sorella al riguardo, che la prima necessità per essere santi era il desiderio: risposta non dissimile da quella che diede un altro santo educatore, come don Giovanni Bosco, secoli dopo.
«Ti voglio regalare la formula della santità. Eccola: Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non viene da Dio. Secondo: i tuoi doveri di studio e di pietà. Attenzione a scuola, impegno nello studio, impegno nella preghiera. Tutto questo non farlo per ambizione, ma per amore del Signore. Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni sempre, anche se ti costa sacrificio. La santità è tutta qui».
Questa fu la risposta che ricevette Domenico Savio, alla richiesta di essere aiutato a diventare santo. Inutile dire che il giovane, generoso e buono, sarà accontentato. Consumato presto dalla malattia, ha realizzato il suo desiderio, divenendo un esempio per i ragazzi, con la concretezza dei propri gesti.
La festa di Ognissanti ci mostra santi per tutti i gusti. Nonostante una delle critiche mosse alla Chiesa sia che la maggioranza di essi siano nelle schiere dei religiosi, è pur vero che ci sono sempre più eccezioni a ciò. Pensiamo alla recente proclamazione a servo di Dio dell’adolescente Matteo Farina, un ragazzo morto a causa di un tumore al cervello. Ci sono poi coniugi santi, come i Quattrocchi, beatificati insieme il 21 ottobre 2001. Mi piace, poi, ricordare Piergiorgio Frassati, giovane benestante, dalla spiritualità contempl-attiva, che, a chi gli chiedeva se fosse diventato bigotto, rispondeva, senza timore di «essere rimasto cristiano». Anche se ci sembra quasi impossibile, persino attraverso la politica si può inseguire la santità, come fu per il servo di Dio Giorgio La Pira, il «sindaco santo», attivo in particolar modo nella città di Firenze. All’elenco non può mancare Giuseppe Moscati, il “medico santo”, che lasciò scritto un piccolo programma di vita che chiunque potrebbe far proprio, qualunque sia la propria condizione di vita:
Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, tu accettala; e se il tormento, tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare tu stesso e la tua vita, tu sii forte nel sacrificio
Anche le donne, naturalmente non mancano. Su tutte, ricorderei Santa Gianna Beretta Molla: anche lei medico, ma, soprattutto, capace di incarnare nel modo più concreto e credibile il carisma della maternità, in tutte le sue accezioni. Andando indietro nel tempo, poi, straordinaria è la figura di Santa Caterina da Siena che, in un’epoca in cui il parere di una donna non contava molto, si spese in prima persona per l’unità della Chiesa e per il ritorno del Pontefice a Roma.
Tra tutti, però, personalmente, due mi hanno colpito su tutti e li ho sentiti, da sempre, vicini. Uno è san Tommaso d’Aquino: nonostante fosse preso in giro dai compagni e apostrofato come “bue muto”, il suo maestro, S. Alberto Magno, ebbe modo di ribattere: “i suoi muggiti si udranno da un’estremità all’altra della terra” E, in effetti, la sua intelligenza ed il suo acume teologico, che mise al servizio della Chiesa, rifulgono a tutt’oggi; eppure, a fronte dell’estasi mistica, guardò a tutti i propri scritti d’uomo “come paglia”. Quella era, per lui, la proporzione tra tutto quanto aveva, con chiarezza e razionalità, esplicato filosoficamente della dottrina cattolica e la visione di Dio, tale quale è. L’altro è san Giovanni di Dio. Un folle, probabilmente bipolare, girovago, incapace di trovare requie, che scoprì con entusiasmo l’amore di Dio e, comprendendo che la carità fatta ai poveri è in realtà il bene fatto a sé, ebbe modo di incentivare a fare il bene (“fate bene, fratelli!”). Qualcuno metteva in dubbio che l’elemosina di Giovanni andasse sempre a chi fosse davvero bisognoso: probabilmente era vero, ma egli si spendeva per Cristo, dunque chi ingannava Giovanni, casomai ingannava se stesso, non certo il santo. Comunque, alcuni benefattori, per evitare che le questue per l’ospedale di Granada andassero a finire nelle mani dei poveri che il santo avrebbe incontrato lungo la strada, iniziarono a lasciargli cambiali che potessero essere riscosse solo a Granada. Era un inconcludente ed era creduto pazzo, ma rivoluzionò il sistema di cura dei malati, inventando l’ospedale moderno, con i pazienti, suddivisi in reparti, a cui erano garantite lenzuola pulite e una cura mai vista in nessun’altra struttura, a quell’epoca.
Perché proprio questi due? Perché comunicano la grande verità che santi si può diventare, ma non per merito; anzi, lo si diventa proprio nonostante i propri demeriti, le proprie mancanze, se solo si lascia che sia Dio a guidare i nostri passi. Proprio quelli che magari, a prima vista, sembrano persone poco raccomandabili, strane, insolite, su cui non scommetteresti un soldo, sono invece proprio quei folli su cui Dio si compiace di scommettere, per farne profeti di nuove visioni.
Del resto, anch’io, come Benedetto XVI, posso dire che «per la mia fede personale molti santi, non tutti, sono vere stelle nel firmamento della storia. E vorrei aggiungere che per me non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità» (Udienza Generale, 13 aprile 2011). Probabilmente, non siamo gli unici!
C’è spazio, nella Chiesa. C’è spazio per la libertà dei figli di Dio. Come in un grande mosaico, non tutti hanno colori sgargianti e vistosi, non tutti sono pezzi grossi: ma basta prelevare un tassello, anche piccolo, perché il disegno rimanga incompleto e lamenti una mancanza.
Perché nessuno potrà mai sostituire il nostro posto nel mondo!