Erano, da decenni, il calcio. Non era mai mancato loro nulla, avendo collezionato trofei e risultati prestigiosi come se fosse perle di una collana. Fino a quel giorno fatidico. Quel 14 febbraio che, per ii cuori blaugrana, aveva segnato una sorta di ecatombe, sportivamente parlando.
Qualcosa s’era inceppato, in quel meccanismo perfetto, conducendo una squadra, ben rodata e pressoché immune alla sconfitta, a un risultato che non ammette repliche: 4 a 0 a favore del Paris Saint Germain, che ha rischiato di mettere alla porta il Barcellona, facendolo uscire agli ottavi.
Una sconfitta è sempre una battuta d’arresto sul proprio cammino. Anche la testa più orgogliosa, in quel momento, ha un moto in verticale, che punta verso i propri piedi, quasi a domandarsi se essi, preziosi compagni di mille prodezze, non siano più in grado di svolgere adeguatamente il proprio fedele servizio. Vincere rischia di far assopire la voglia di sfidare i propri limiti, nel dubbio che basti lo sforzo minimo per ottenere il massimo risultato. Perdere butta giù dal piedistallo ove qualche volta ci sentiamo autorizzati a salire, quando la serie positiva si fa lunga.
I numeri parlavano chiaro: non avendo segnato neppure una rete all’andata, era necessario insaccare almeno 5 reti senza subirne, al ritorno.
Ora, inaspettatamente, siamo qui ancora a parlare di quella che è considerata la più grande remuntada nella storia della Champions League. Un risultato che porta a considerare tale notizia come qualcosa che va al di là del semplice trafiletto sportivo.
Perché la sconfitta non è mai un disonore. Quanto successo dimostra che può diventare opportunità di riscatto, che riaccende la volontà di lottare per raggiungere i propri obiettivi. Considerati ormai sconfitti, hanno messo in campo il guizzo del fuoriclasse ed agguantato un risultato che, da sfida al buon senso, è divenuta realtà in quel 6-1 che ha sancito il modo più ardimentoso per conquistare un “semplice” passaggio al turno successivo.
Come fenici, sono rinati dalle loro ceneri, risvegliando nel cuore il desiderio di rivincita. Perché il punto più basso della propria storia, a volte, è anche il migliore dal quale ripartire.
Anche la Scrittura Sacra, del resto, è una storia che rinasce dalle ceneri, ancora fumanti, di cocenti sconfitte.
Dall’inizio: Dio scelse il popolo d’Israele non perché più forte o più numeroso, ma proprio perché piccolo e disperso tra le genti, per eleggerlo quale proprietà di cui divenire custode. Successivamente, la scelta dei Suoi uomini in mezzo ad esso aveva il marchio della sconfitta, ma solo in apparenza: Giuseppe, venduto dai propri fratelli, rappresenterà la loro salvezza, in tempo di carestia; Mosé, “impacciato di bocca e di lingua”, sarà il liberatore dalla schiavitù d’Egitto; Davide, unto re da Samuele, il più piccolo tra i fratelli, che rischiava di non essere neppure considerato dal profeta, sconfiggerà Golia; Geremia, essendo giovane, mancava dell’autorevolezza nel parlare, eppure diventerà uno dei maggiori profeti. Infine, Cristo confermerà il trend: “La pietra, scartata dai costruttori, divenne testata d’angolo” (Sal 11, 22). Si sceglie un accrocchio scalcagnato di pescatori di Galilea, quale compagnia per la sua predicazione. E quando tutto, sulla Terra, è compiuto, è alle donne che il Figlio dell’Uomo affida il più importante dei messaggi, quello della Resurrezione: sì, proprio a quelle donne che, all’epoca contavano ben poco e su cui, in concreto, erano gli uomini a detenere il diritto di vita e di morte. In seguito, senza i media di oggi, ma anche senza personalità influenti né eserciti roboanti, il messaggio di speranza prende il largo tramite il passaparola dei perdenti della storia: i primi seguaci di Cristo si contano infatti tra le classi inferiori di quel grandioso Impero Romano dai confini enormemente vasti e l’annuncio di una nuova libertà sboccia tra le galere e le bettole, prima di approdare sulle cattedre dei dotti e dei sapienti.
Dio sembra quasi aver preso gusto a farsi beffe di noi, dei nostri progetti basati unicamente sulle nostre forze e sulle nostre aspettative, riguardo alle Sue preferenze. Ogni volta che apriamo la Scrittura, ci troviamo, immancabilmente, un capovolgimento di fronte, che ci ricorda che “i nostri pensieri non sono i Suoi pensieri” (Is 55, 8), ma anche che, dietro l’angolo di un’apparente sconfitta, può nascondersi il germe di una nuova, più autentica rinascita. Come il seme che, per germogliare, richiede di rimanere per mesi nascosto sotto terra, prima di svelare, una volta arrivata primavera, il proprio segreto e sbocciare, provocando la meraviglia di chi lo guarda!
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