vergognaE’ stata la grande lezione lasciata in eredità dal Natale appena celebrato: il fondamentale si gioca nel banale. Per fortuna o purtroppo non esistono soluzioni generali: ognuno deve cavarsela da sé e nessuno può assumersi il rischio di un altro. Perchè nella storia – quella che quaggiù viene scritta dai vincitori e Lassù verrà scritta dai perdenti – il combattimento tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è avviene sempre e solo nelle trame della vita quotidiana. Non per nulla Dio scelse di farsi Uomo: avendo scelto in prima persona di abitare la quotidianità, da quel giorno nessuno – tra quelli che osano definirsi suoi seguaci – potrà sfuggire alla logica ferrea della storia.
Neppure l’avventura dell’educazione – quest’arte così nobile e così infaustamente alla ribalta – conosce scorciatoie per riuscire ad attecchire nel senso botanico del termine. In questi giorni tanti si scandalizzano per l’ennesima bufera che investe il nostro Presidente del Consiglio: la vita di paese è sempre foriera di quell’ironia ch’è capace di dire le cose senza dirle. Alcuni si scandalizzano da mesi per una Chiesa che si mostra zoppicante nel suo incedere verso la Mèta finale. E rimane insoluto il quesito se per portare a casa il finanziamento alla scuola privata o il biotestamento valga bene lo sputtanamento dei valori. Ma ciò che interpella e stupisce – al di là delle scelte private di ogni cittadino – è il tentativo in atto da qualche anno di abbassare le vette solo perchè chi sta in alto non riesce più ad abitarle (qualora ci fosse riuscito nel passato). Abbassare la vetta dello stile, della buona educazione, degli ideali attorno ai quali sono andate costruendosi generazioni intere nel passato della nostra storia. Abbassare le vette è un po’ come firmare una sconfitta a rate: a nessun atleta – per usare un linguaggio sportivo – farebbe onore vincere una gara priva di qualità agonistica. Come a nessun uomo farebbe piacere primeggiare senza concorrenza alcuna. Tolto il senso della sfida e di un obbiettivo per il quale battersi, viene anche meno la forza di migliorarsi in prima persona per poi aiutare gli altri a migliorare.
Chi educa – e ogni persona che rivesta responsabilità seppur minima è chiamato implicitamente all’arte dell’educazione – sa che l’intera sua vita è motivo di confronto e di esempio. Cosicchè uno non è prima prete e poi educatore, prima politico e poi educatore, prima insegnante e poi educatore. Ma è sempre entrambi, dal momento che l’educazione non è un ripetere delle tabelline a memoria ma un tentativo – si spera sempre al massimo delle possibilità – di essere in prima persona ciò che si ama professare dal pulpito, qualunque esso sia. Sdoppiarne la natura è un po’ come tentare di depistare le tracce o, meglio ancora, diventare fratelli gemelli di Pilato. Berlusconi e il suo entourage rosa sono ormai il passatempo preferito – e per certi versi noioso – di una certa frangia politica ed ecclesiale e costituisce un atteggiamento tipico di chi nulla ha da proporre se non l’annientamento dell’avversario: cosa assai meschina per chi avrebbe il dovere di proporre un modo alternativo di governo. Con ciò detto, chi scrive non giustifica tale atteggiamento (come non s’aggrega nel tentativo cardinalizio di relativizzare le bestemmie del premier) ma nemmeno è così sprovveduto da pensare che questi guai esistano solo nel triangolo Arcore – Roma – Antingua. C’è chi mette in piedi i carrozzoni di carta (ideatore iniziale) e chi li ospita (fruitore finale): o vorrebbe farlo.
E Berlusconi altro non è che il sommo rappresentante di un certo stile di vita.

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