La porta e la finestra. La porta, i cui battenti si chiusero accompagnati dalla buonanotte! decantata con accento tedesco da Benedetto XVI: la finestra che si apre con un buonasera! insaporito dalla cadenza spagnola di papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio. Ci sono porte che si chiudono per spalancarsi al mondo: appena le varchi, ricomincia il grande viaggio. Cosicché una buonasera diventa quasi il buongiorno che sospinge il vento di una primavera dentro i sentieri intricati della Chiesa, costringendo l’uomo a fare nuovamente i conti con lo Spirito Santo, questo vecchio timoniere che agli incroci della storia si ripresenta sempre puntuale e mai scontato. Nella Bibbia i sogni sono sempre piccoli sogni e le rivelazioni hanno sempre il vestito delle piccole rivelazioni: quel poco che basta per intraprendere il viaggio. Poi Dio comparirà sempre agli incroci della storia. Come ieri, come oggi, come domani.
Si chiama Jorge Mario Bergoglio ma si farà chiamare semplicemente Francesco: usa e osa il nome di quel ragazzo folle e innamorato che dalle campagne di Assisi diede una scrollata potente alla chiesa di Roma, fino a turbare i sogni di un Papa che cedette alle sue preghiere. Perché quando Dio vuole convertire il mondo parte sempre dalla periferia della città e mai si dà per vinto. Arriva dall’altra parte del mondo, viaggia in metropolitana, piange le dignità umiliate e come un amabile parroco parla al cuore della gente. Quel poco che basterà per fare spazio nella sinfonia della Chiesa alle melodie stonate e alle note da accordare della voce dei poveri e dei diseredati, degli ultimi e dei senza sogni, di quell’ammasso di popoli e di sangui dei quali la terra custodisce le grida e le speranze. Nel 2005 si fece in disparte e lasciò il palcoscenico a Joseph Ratzinger. Otto anni dopo sperimenta sulla sua pelle quello che il pavido don Abbondio imparò dal Cardinale Borromeo: sottrarsi alla propria missione non procura salvezza, mentre l’assumerla è il solo azzardo che valga la pena di correre. D’altronde la Scrittura Sacra attesta che è impossibile rimanere latitanti quando si è ricercati dall’Altissimo. Eccolo, dunque, affacciarsi con lo sguardo timido e forse un po’ imbarazzato tipico della gente semplice, che tradisce l’ansia di una missione dis-umana e pertanto divina. Da Assisi partì la contraerea che pose fine all’inverno delle crociate e fece sbocciare la primavera di un nuovo inizio; da Buenos Aires – nel mezzo di una metropoli tentacolare e profumata di contraddizioni – parte il viaggio del secondo Francesco, quello che vestito di bianco e di canizie cercherà di riportare Cristo al centro della sua Chiesa. E da buon gesuita costringerà la Chiesa a tornare all’essenziale, all’ebbrezza di quel mattino di Pasqua che diede inizio alla splendida avventura della fede.
Nel suo albero genealogico scorre sangue di emigrati: nessuna vergogna sul volto, ma l’umile appartenenza ad un popolo – quello cristiano – apparentemente perdente e senza fissa dimora eppure ancora in piedi e instancabilmente in cammino. E’ voce di un popolo (quello latino-americano) diversamente cristiano, custode di linfa nuova, quella che serve per riabilitare le membra infiacchite della chiesa d’Europa. E’ argentino e questo ci basta per decretare anche nella Chiesa la fine dell’Eurocentrismo: d’altronde ammoniva già il Cristo dei Vangeli che la salvezza arriverà sempre da lontano, da sangui e alfabeti che ne avranno strappato l’appartenenza al prezzo del martirio fedele.
Dietro di lui – in perfetta continuità – la figura mansueta e monastica di Benedetto XVI che alla Chiesa ha voluto fare dono di una pagina tanto inaspettata quanto rivoluzionaria all’inizio della Quaresima: un gesto creativo che ha sprigionato una rinnovata primavera nella Chiesa. Al pari di Mosè, Benedetto XVI ha tracciato la strada e ha esposto la sua faccia, fin quasi ad accettarne il pubblico ludibrio; toccherà a papa Francesco, al pari di Giosuè, condurre il popolo dentro la Terra Promessa di una nuova credibilità e di una nuova coerenza per la Chiesa. Un passaggio di testimone che ancora una volta partorisce una pagina spettacolare di storia della Chiesa e che, ai più dubbiosi, racconta di come il Conclave sia ancor oggi proprietà privata dello Spirito Santo: quando meno te lo aspetti, scatta in contropiede e ti ribalta la partita. O, semplicemente, continua a tracciare la sua rotta nonostante tutti i tentativi di depistaggio operati dagli uomini, seppur uomini di Chiesa.
Il suo pontificato inizia in ginocchio, ad invocare la benedizione dei suoi figli: un perfetto memoriale di splendide pagine della Scrittura. Perché solo così può iniziare un viaggio che di umano reca solo le sembianze: inizia sempre e solo nel nome del Padre. Di quel Padre che anche stavolta ha voluto accarezzarci con la storia di un uomo venuto “dalla fine del mondo”. Perché laddove l’uomo legge la parola fine, c’è un Dio che s’intestardisce a leggerci sempre e solo la parola inizio. Come uno smemorato seduttore.
(da L’Altopiano, 16 marzo 2013)