missitaliaUna corona che luccica sul capo ed essere la più bella d’Italia. Eppure a scuola t’insegnano che la bellezza non fa le rivoluzioni o, perlomeno, quelle grandi rivoluzioni di cui tramandano la testimonianza i libri di testo. Stavolta è toccato a Maria Perrusi carpire quel sogno che ammalia milioni di ragazze dalle Alpi all’Adriatico, da Ponente a Levante, dal Settentrione al Mezzogiorno. Per indossare quella corona non servono i costrutti latini o le trigonometrie, basta far sfavillare quei raggi di bellezza affidati da Madre Natura e, magari, affinati dalla tecnica. Quest’anno festeggiamo una Miss che non sa fare nulla, parole sue: non sa cantare, non sa fare l’attrice, non sa ballare. E questo è consolante perchè racconta di un sogno che non regge i dettami dei giudizi scolastici: le poche cose che dicono in trasmissione le hanno ripetute fino allo svuotamento del significato. E sono quei pensieri che gli italiani vogliono sentirsi dire, quelle frasi che fanno di un conduttore o di una conduttrice anonima il preferito e la preferita dai telespettatori. Non sa fare nulla la nostra miss, ma una cosa ha ammesso d’aver compiuto: ha dato il massimo superando se stessa. E questa è la lezione bella che speriamo ispiri tante altre nostre ragazze. Perchè nascere con gli occhi azzurri, i lineamenti della femminilità che seduce, tessere capelli che fanno la fortuna dello sguardo e inanellare dei passi sinuosi è una fortuna. Ma possedere un carattere che trasformi anche la goffaggine sincera del non saper fare nulla in simpatia non è male come dote da custodire.
Il suo volto ispira bellezza, quella resa famosa da poeti e romanzieri. Ma solo questo è bello? Bello è anche vederti allo specchio con le orecchie a punta ma sentirti capace di ascoltare, vederti con le mani gonfie ma saperti capace di modellare il ferro, scoprirti brutto ma orgoglioso di saper dipingere, sentirti paragonare ad un orso ma saperti un agnello. Bello è ciò che toglie il fiato, è provare l’ebbrezza d’essere davanti un capolavoro e sentire le vertigini, il respiro che manca, la povertà delle parole. E allora la bellezza diventa splendore, quello splendore che fa di persone esteticamente discutibili dei capolavori di umanità. E qui fiorisce quell’umile e faticosa arte che s’apprende tra i banchi della scuola che ricomincia, quei banchi che raccontano di sudore e di conquista, dii apprendimento e di lavoro, di pensiero e di progettazioni. Sedute su quei banchi e intente ad abbellirsi il cervello, mi piacerebbe che lì le ragazze mostrassero che essere donna è una sfida affascinante: una sfida che non annoia mai, come direbbe Oriana Fallaci. In un’epoca tecnologica in cui su tutti i profili virtuali campeggiano volti, lineamenti e sorrisi costruiti nei laboratori della fotografia e delle aspettative, rimane la bella possibilità di valere di più di quello che s’apprende con gli occhi.
Una testa vincente parte sempre svantaggiata al cospetto di un corpo statuario: come in quel negozio d’abbigliamento di Padova in cui una ragazza venne rifiutata perchè troppo acculturata nel curriculum per la fascia di clientela prevista. Proprio per questo il campanello dell’estetista e del chirurgo plastico suona sempre due volte di più di quello del professore e dell’allenatore: è la legge del mercato che, incurante delle cose di prima qualità, va cercando contraffazioni da svendere alla clientela che s’accontenta.
Per chi delle contraffazioni è allergico, invece, rimane la sola scelta di abbassare il capo, inforcare la penna e continuare ad alimentare il pensiero. Nella speranza sognata che davvero nella vita ciò che conta sia di mettercela tutta: forse non varrà una corona di diamanti, ma dei passi compiuti a testa alta sicuramente.

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