Foto LaPresse Torino/Tony GentileStoricoanni '90Giovanni BruscaGiovanni Brusca, soprannominato in lingua siciliana u verru (il porco), oppure lo scannacristiani per la sua ferocia (San Giuseppe Jato, 20 febbraio 1957), è un criminale italiano.nella foto: Giovanni BruscaPhoto LaPresse Turin/Tony GentileHystory90'sGiovanni Bruscain the photo: Giovanni Brusca

Che ne dite? La reintroduciamo, una buona volta per sempre, la pena di morte nella Costituzione Italiana? Dicono (e ci credo) che la nostra sia la Costituzione più bella del mondo: con la pena di morte inserita, forse, perderebbe questo suo bel primato. La maggioranza, però, vivrebbe molto più serena. Anche più sicura, a detta loro: certamente più soddisfatta quando il peccatore (che, a rigor di logica, è sempre l’altro da me) verrà arso vivo dalle scariche elettriche. Meglio se premute, una volta a testa, dai cittadini stessi, in modo da non far perdere a nessuno l’emozione – dev’essere gigantesca anche solo ad immaginarla, ndr – di scaricare sulla persona bieca la forza d’urto di ciò che arde potentemente nel petto. Una proposta, la mia, che è maturata mentre celebravo la messa del Corpus Domini nella nostra galera e, guardando la gente che sedeva attorno all’altare, vedevo riflessi i lineamenti del Brusca-cattivo che, in questi giorni, è sulla bocca-pancia di tutti. Un uomo ch’è divenuto la metafora di chi, responsabilmente, ha causato male e malefatte a dismisura. Brusca o non Brusca, infatti, il succo della questione non muta d’aspetto: chi ha sbagliato, deve marcire, punto e basta. Meglio se soffrendo tutti i patimenti che ha causato: “È una merda, e come merda va trattata!” sostiene il più delle persone. Non tutte, per fortuna. Me l’ha ribadito persino un’indefessa catechista di cui avevo stima, anche un prete ch’è una sorta di vescovo fai-da-te: “Per me – li sintetizzo – le carceri dovrebbero essere dei punti certi. Li porti dentro e li lasci morire”. Stamattina, quella stessa signora ha accompagnato i bambini a celebrare la loro Prima Comunione, quel prete ha celebrato la Messa nella sua parrocchia: «La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo – ha recitato sottovoce, in quanto prete, prima di cibarsi del Corpo di Cristo – non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia, sia rimedio di difesa dell’anima e del corpo». Speriamo bene: per un corto circuito dell’anima ci sarebbero state tutte le condizioni. Il loro finale, comunque, è chiarissimo: Cristo, quello appena pregato-consacrato-deglutito, facendosi uomo ha perduto tempo. Un Dio-fallito, insomma: il cristianesimo come proposta fallimentare. Non li biasimo: forse, però, manco Cristo poteva immaginarsi che, dandosi in pasto all’anima di Giuda, un giorno i seguaci più fedeli glielo avrebbero rinfacciato come il più ingiusto e insopportabile tra i gesti liturgici. Fatto sta che Cristo, con Brusca e i suoi simili, per costoro sembra aver perduto la scommessa, per quelli che vanno alla messa prima della domenica. “Forza, signori/e: allora prendete voi l’iniziativa, magari usando uno dei tanti banchetti fuori dalla chiesa parrocchiale. Voi e quel manipolo di politici che hanno studiato il Codice Penale su qualche bignami raccattato nelle bancherelle dell’usato. Raccogliete le firme, coinvolgete il popolo italiano e fate approvare il prima possibile il reinserimento della pena di morte nella Costituzione Italiana.
Io e tanti altri, anche se capisco molto bene che non ve ne può fregare di meno, continueremo invece a credere nel reinserimento di chi ha sbagliato, non nella valenza della pena di morte o della sedia elettrica. Per me – ma non preoccupatevi, non conta nulla, avete ragione voi! – con Brusca lo Stato ha vinto la sua battaglia. O, per lo meno, ha dimostrato di non arrendersi completamente alla burrasca orrenda del crimine. Sapete qual è la cosa buffa, poi? Che lo Stato è stato in grado di farlo, stavolta, col signor Brusca Giovanni, proprio grazie al signor Falcone Giovanni, il quale venne trucidato proprio dal signor Brusca. Perché è di Falcone, profeta lungimirante, la legge sui collaboratori di giustizia (studiatela prima di s-parlare, almeno per rispetto del lavoro di quel giudice). Falcone sapeva bene, dopo aver studiato la legge tenendosi gli uomini davanti, che esiste una sola maniera per cercare di debellare un sistema criminale: fare in modo che chi l’ha ideato sia la medesima persona che aiuta la giustizia a  smantellarlo. Non avvertite voi, assieme alla giusta e doverosa reprimenda per il male assassino compiuto da Brusca&company (che non avrà mai nessuna giustificazione), l’altissima lezione di un uomo, il dottor Falcone, che permette al suo assassino di continuare a vivere, al prezzo d’aiutare il suo Stato (maiuscolo) a debellare l’onta criminale? Lo vediamo anche noi nelle galere, soprattutto in quelle sezioni tossiche del 41bis e dell’associazionismo criminale, quanto sia difficile aiutare l’uomo detenuto a capire il valore necessario della collaborazione, a denunciare i (giusti) nomi rischiando la pellaccia sua e quella della sua famiglia, a spiegare loro che se la mattanza compiuta non si potrà mai più cancellare è importante, però, fare di tutto perché altri non la ripetano. E tutto questo vi pare poco? L’Italia è mia madre, lo Stato è mio padre: la madre e il padre non si possono scegliere, te li ritrovi assieme alla vita stessa. Da mia madre e da mio padre (naturali e metaforici, quindi dai miei “superiori”) mi aspetto un comportamento diverso da quello mio, che magari ho mostrato e praticato nei confronti dei fratelli di casa mia. Siccome sono tali, mi aspetto una levatura superiore alla mia, gente d’altra caratura rispetto alla mia. Mi aspetto, soprattutto, che credano nel mio cambiamento giusto nell’attimo in cui tutti, invece, mi vorrebbero distrutto. Giovanni Brusca mezzo-libero è l’ode più bella che si potesse intonare a Giovanni Falcone. Leggete le parole di Maria Falcone, la sorella, il giorno della scarcerazione di Brusca: vale un anno di catechesi parrocchiale, se non un ciclo intero. Giovanni non è morto invano.
Però, avete ragione voi: per fare questo serve un balzo del cuore da parte dell’intelligenza, un balzo che la Costituzione Italiana dimostra di possedere sin dai suoi albori: anno 1946, quasi cinquant’anni prima della strage di Capaci. Credere nel cambiamento di ciascuno, di chi ha sbagliato, di chi sta sbagliando, di chi sbaglierà domattina: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte» (art. 27). È scritta anche per me che, un giorno, potrei avere bisogno urgente in prima persona di questa premura. Se vi pare troppo, nessuna paura, continuate ad invocare la pena di morte come soluzione ultima a tutto. Però, se potete, fatela finita con gli slogan dei “buttafuori da discoteca”: abbiate almeno il coraggio d’indire voi, in prima persona, un referendum per il reinserimento della stessa pena nell’articolo 27 della Costituzione Italiana. Altrimenti, anche col Santissimo Sacramento in petto, dimostriamo di continuare a prendere in giro pure Cristo e il suo sogno pazzo d’andare a cercare chi si è davvero perduto. Chi parte, dunque? Forza! L’occasione è ghiottissima: il referendum, nei secoli eterni, potrebbe portare appiccicato addosso il nome di chi lo indice. Entrerebbe dritto, di diritto, con un colpo solo nella storia. E farebbe la fortuna dei venditori di elettricità, portandosi pure a casa, magari, una parcella niente male. Anche un portafoglio di voti.

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