Nella periferia della città, ai margini estremi di quella società che con le loro gesta hanno tradito, complicandone talvolta il futuro più prossimo. Nemmeno così, però, la città sembra vivere in pace: la presenza di un carcere non è sufficiente a garantire quel senso di sicurezza che l’uomo va ostinatamente cercando. T’insegnano da bambino che in carcere ci vivono i lupi, i delinquenti e gli assassini: esseri condannati a fare di una cella di galera il loro punto di osservazione sul mondo. Eppure anche dentro quelle esistenze deragliate il cuore dell’uomo batte degli stessi battiti di tutti gli altri cuori dell’umanità. Alcuni di loro sono uomini che non appartengono più a nessuno perchè non appartengono nemmeno più a loro stessi. Eppure sono ancora uomini che, tramontato il sole, avvertono l’incedere di mille paure: d’essere soli, abbandonati, traditi. Del passato, del presente, del futuro. Dell’amico, del nemico, di loro stessi. Della guardia, delle sbarre, della notte. Del silenzio, forse anche di Dio. Perché dentro il lupo scalpita l’uomo: che ha sbagliato, che deve pagare, che vuole risorgere. Che non accetta di scambiare la sua cella per il mondo e tanto meno convincersi che l’abat-jour faccia le veci del sole. Che inaspettatamente trattiene quel sogno che anche là dentro è la sorgente e la cagione di qualsiasi altro sogno: incappare in Qualcuno che alle cinque del pomeriggio – quando anche nel Vangelo tutto sembra perduto – conceda una chance. Per riaccendergli l’immaginazione di un mondo da riscattare.
Un mondo di periferia. E dentro questa periferia una piccola parrocchia di periferia, tanto simile a quell’ospedale da campo tratteggiato da Francesco. Qui l’urgenza non è il diabete o i trigliceridi alti, bensì l’annuncio di una misericordia a portata di mano; la memoria di un patriarca, Disma il Ladrone, capace di strappare il Paradiso sul limitare della morte perchè capace di gesti altissimi nella concitazione di quegli ultimi attimi: a volte basta un istante di vero amore a sconvolgere un’intera esistenza criminale. Una parrocchia screpolata, dunque, come traccia di una Presenza al cui cospetto gli errori rimangono storie che generano storie. Ma che non arrecano timore a Colui che della Grazia disegna le traiettorie, sovente incomprensibili per chi le guarda distrattamente da fuori. Nel nome della misericordia cristiana, quella che non cancella la nobiltà della giustizia ma ne illumina il tragitto senza deteriorare la dignità di chi s’è smarrito in strade disperate. Perchè con manganelli, spranghe e lucchetti il lupo rimane distante; quanto tornerà l’anticiperà una ferocia inattesa. Con una carezza, una parola o un sorriso il lupo s’addomestica e s’ammansisce: perché nessun lupo ci guadagna a rimanere da solo nella steppa.
Laggiù, al civico 35 di via Due Palazzi, giace l’ultima parrocchia della Diocesi: la parte muta e buia di un popolo condannato al deserto. Al quale, però, ogni primo mattino giunge inaspettato “quell’anno ancora” che il Padrone è capace di offrire al fico fannullone. Per poi, l’anno venturo, rilanciare magari la sua tregua. Come un innamorato smemorato giunto alla periferia di un’intricata storia d’amore.
(da “Lupus in Carcere”, rubrica mensile de La Difesa del popolo, settimanale d’informazione religiosa della diocesi di Padova)