notteLa notte nervosa di Peppone che, nel buio dell’officina, s’appresta a convertirsi. O quella di don Camillo che, fedelissimo, passeggia sotto il Cristo a sciogliere paura e dubbi. La notte dell’Innominato straziato e impaurito che cerca Dio col cuore in gola. La notte oscura di Giuda traditore, dell’internato Elie Wiesel o del regista Michelangelo Antonioni. Quanti misteri racchiude la notte: angoscia e romanticismo, ispirazione e tremore, attesa e intimità, vicinanza e solitudine. Umanità e disumanità.
Ma anche paura. Penso alle notti di una città che ha aperto la caccia ad un killer, ad un ladro, ad una banda di mascalzoni. Notti in cui anche una città come Padova perde il fascino e l’attrattiva facendo camminare la gente con la testa all’indietro per paura di un’imboscata. O di uno stupro. Perchè alla notte ben s’addicono gli incontri e, sfortunatamente, anche gli scontri che generano quella paura che rende l’uomo diffidente del suo simile fino a ingabbiarsi dentro le mura di casa. E diventare cittadino di quel cyberspazio che, al pari di Penelope, costruisce e disfa le relazioni. Fino a regalare dietro la bellezza di unirsi – distaccarsi la paura di rimanere soli nella vita. Uno stato d’animo che abita Padova in queste serate: di “spinellata di massa” e di ordinanze anti-droga ma anche di cene disdette e feste spostate in periferia. Segno di una paura che alberga sotto le sembianze di rivolte che dell’eroismo non tengono i lineamenti.
Perfezionare una città per via legislativa è forse l’illusione di ogni forma politica. Come il sogno di tanti uomini di buona volontà – a metà strada tra Ercole e Sisifo – di imporre al mondo la pratica delle virtù per rendere una città simile a quell’immagine poetica che tratteniamo nei sogni: gentile, umanizzante, dignitosa. Ma così non va il mondo: o meglio, così non lo fanno andare gli uomini. Eppure una strada ci rimane, forse la più entusiasmante: quella almeno di tentarci a renderla migliore convivendo con quel pizzico di paura che ci rende tutti un po’ più normali. Come i grandi e ortodossi riformatori della Chiesa non sognavano un’altra Chiesa ma una chiesa diversa, così il cittadino comune parte dai quartieri della sua città – odorosi di bellezze, paure e disagi – per tentare una città diversa. Dove la paura possa essere vinta dalla civile convivenza. Per cancellare quella percezione sgradevole che ci fa sentire stranieri in casa nostra, quel senso di terrore che moltiplica e sparge disagio. Fino a guardare con fare sospetto e tremante persino l’anziana signora novantenne che, come da una vita, va’ in piazza a comperare le vivande.
Un giorno a scuola un adolescente usò un’immagine per descrivere il sentimento della paura: “E’ come correre su una lastra di ghiaccio fino”. Lo sanno gli spericolati che se il ghiaccio è sottile la salvezza sta nella velocità con cui si pattina. E’ proprio questa la vittoria della paura: ci costringe a correre in continuazione fino a trasformare un’esperienza emozionante (la corsa) in una fatica massacrante. E se rallentassimo la corsa e ci guardassimo negli occhi?
Solo Peppone assicurava di non aver mai avuto paura. Ma tante volte Giovannino Guareschi l’ha colto in fallo: eroe solo per non sfigurare davanti al suo parroco. Perchè tutti tratteniamo un pizzico di paura: così come tutti teniamo il sogno di vivere in una città sicura. Dove al vicino del pianerottolo si possa ancora chiedere un pugno d’insalata come ieri e non avvicinarsi con un candelabro pronto dietro la schiena. Chi lo sa: magari non nasconde necessariamente un coltello ma una candela. Come nella chiesa di don Camillo quella sera.

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