La storia di Maria di Nazareth – che per me rimarrà sempre un po’ Gesuina – me l’ha raccontata nonna mentre cucinava i broccoli, impastava il dolce, faceva la pasta a mano. Me la raccontava anche quando non s’accorgeva che lo stava facendo: col rosario in mano, mentre fischiettava le litanie, facendosi un segno di croce improvviso. Quando, chissà perchè, bisbigliava senz’apparente motivo: Madonnina mia, pensaci tu! Io, nel frattempo, cercavo di capire la forza, l’onore di quella (ma)donna che nonna continuava a tirare per la giacca. Con rispetto.
Tant’è che una sola volta ho visto nonna d’un livore viperino: quando uno, nel campo, disse della Madonna cose orribili. Prese una zolla di terra, gliela scagliò addosso: un pugno in piena regola, in faccia ad un omone grande, grosso come un armadio. Tempo di riprendersi, l’omone chiese scusa a tutti. Si vergognò. Al mio paese, troppo sovente, bestemmiano il Figlio: è una transumanza d’animali quella che gli accollano come immeritato soprannome. Ma la Madonna, ancora oggi, se qualcuno la tocca vien giù il Cielo. Del Figlio qualcuno manco ne vuole riconoscere l’esistenza, ma la Madre l’hanno dipinta persino nelle stalle tra fieni e campanacci, nelle officine in mezzo ad altre madonne, agli incroci delle strade e delle vallate. Chi, tra noi paesani, un giorno si salverà – se accadrà – sarà per le Ave Maria dette di contrabbando, non per i giorni di precetto rispettati. Meno che meno per i comandamenti applicati. Madonnina mia, pensaci un po’ tu!
Alla mia nonna piaceva raccontare storie: era la maniera per passarmi un pò della sua memoria, per conservare la vita del passato che non voleva andasse perduta. Per lei, classe millenovecentoventi («come il Papa Woitjla» diceva con fierezza bambina), raccontare era come tener agganciato il presente al passato. Non era una passione d’antiquariato la sua memoria: “Memorizza quello che sto per dirti – mi avvisava -: un giorno, se servirà, il cuore andrà a ripescarlo e la tua memoria ti aiuterà». In quei racconti c’era davvero la vita, tutta: gioie, dolori, amori e tradimenti, passioni vinte e consumate, cadute, risalite. Quando, poi, mi raccontava del suo passato, sentivo che trovava conforto per il suo presente: la sua memoria la faceva risuonare nel cuore di noi bambini. Di noi cugini.
Era bellissima la mamma di mamma: sapeva essere divertente. La mamma di papà non l’ho mai conosciuta: mi dicono fosse altrettanto bella come quella di mamma. Non avevano, però, vie di mezzo le mie due nonne: avessero avuto la possibilità di prendere la patente, la freccia o non l’avrebbero mai messa oppure l’avrebbero lasciata accesa per due mesi. Erano proprio così, senza mezze misure. Io sono loro sangue, sbiadita traccia.
Sangue matto.
Però mentre nonna raccontava della Madonna, era come se la conoscessi di già: lei me la risvegliava da un coma profondo, era come se aprisse una porta di casa che io avevo sempre tenuto chiusa. Era una storia, ma somigliava ad un volto, una persona: un ricordo, un’emozione. «Questa è una storia sacra, Marco!» mi diceva, quasi a confidarmi il segreto più inconfessabile. Sacra, però, lo era per davvero: poche storie, in realtà, hanno il potere di superare il tempo e di mantenere inalterato il profumo. Quella di Gesuina di Nazareth è la storia più rinomata: ha preso la maiuscola – “La storia” -, quasi per indicare ch’è inizio e fine di tutte le storie, il principio e la fine di tutti i percorsi che, anche se accaduti una volta sola, hanno la direzione dell’eternità marchiata addosso.
Storie che sfuggono alla prigionia del tempo.
E nel tempo diventano come luminarie per la storia tutta.
«Ave, o Maria, piena di grazia,
il Signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne
e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio,
prega per noi peccatori,
adesso e nell’ora della nostra morte.
(Amen)»
Nonna l’ho sempre vista con la corona del rosario in mano: “Questa (me la indicava mettendola bene in mostra) è la corda di impiccagione del Demonio”. La portava dappertutto, sempre: fatico a ripensarla senza, non riesco proprio ad immaginarmela. Se non ce l’aveva tra le mani – quando faceva il bucato, puliva il bagno, metteva la cera al pavimenti – la teneva a mò di bracciale. Però non se ne distaccava mai: provare ad immaginarla senza, è come staccare il pallone dai piedi di Roberto Baggio, la bicicletta da Marco Pantani, le scarpe da corsa a Pietro Mennea. Li abbiamo sempre visti così, tanto che senza non sono più loro.
(Con)fusi nei loro arnesi.
La mia nonna è rimasta (con)fusa nel rosario: è la sua lingua madre.
È rimasta ospite nelle storie che amava raccontarmi.
Quando finì di raccontarmi di Maria, di com’è nato il rosario, disse: «Capisci anche tu che una storia così non può finire come tutte le altre storie, vero?» Era la sua maniera gentile per dirmi che, a differenza delle storie che mi raccontava mamma, questa di Maria non potevo, dopo avere letto l’ultima riga, chiuderla e poggiarla nello scaffale della camera, in mezzo ai libri già sistemati. Non potevo nemmeno – questo lo capii più tardi – dopo il cinquantesimo grano del rosario, mettere da parte la corona come fosse uno di quei libri che, letti, stanno lì come memoria di una lettura fatta, conclusa. Era chiaro che, ogni volta, era sempre una storia nuova, una preghiera nuova, una sorta di riaggiornanento della mia frequentazione di lei. «Anche perchè – disse una volta nonna mentre mi stava parlando della Madonna di Monte Berico – se tu un giorno vuoi sapere davvero chi era Gesù, il modo migliore è fartelo raccontare da sua madre».
Come darle torto? Se uno vuol sapere, davvero, tutta la storia di un uomo o di una donna, l’enciclopedia più credibile resterà per sempre la sua mamma. E’ l’enciclopedia vivente del figlio.
L’unica versione fedele della nostra nascita è quella di mamma.
Dunque, nonna?
«E’ come la vetrata della nostra terrazza, Maria!» disse un giorno invitandomi a guardare fuori dalla finestra. Da lì – si era nella parte bassa del paese – tutto il paese si stagliava davanti. Poetico, portentoso, divino, spettacolare: è la nostra Betlemme, traslocata nella pedemontana di Vicenza. Quando, ancora oggi, mi fermo a guardare un paesaggio da dietro una vetrata, mi viene in mente nonna: quando guardo il panorama, non penso mai alla vetrata. Che, da parte sua, è troppo umile per farsi notare anche solo un pò. Lascia trasparire la bellezza del panorama ma non chiede nessun biglietto d’ingresso: è come se non esistesse. Da quanto la nonna puliva bene i vetri, certi uccelli s’ammazzavano sbattendoci addosso: “Sembrava non ci fosse nessun vetro” risponderebbero a chi li accusa d’esser stati distratti.
Di troppa pulizia, verrebbe accusata la nonna.
Così, a casa nostra, ci han presentato Maria: una donna-vetrata, l’umiltà fatta carne, donna così vicina da confonderla con Gesuina, così semplice d’apparire invisibile, forte d’essere dirompente nella semplicità. Da allora, a casa, Maria è il dodicesimo giocatore in campo. Non esiste sera nella quale si spenga la luce di casa senza aver detto prima: «Madonna di Monte Berico, prega per tutti noi». A Gesù ci son arrivato attraverso Maria: prima ho conosciuto Lei, poi m’innamorai del Figlio. «E’ sbagliato questo modo di procedere» mi rinfacciò un giorno un professore che, gattamorta, non riuscì a scalfire la forza della teologia di nonna. Il santo di casa, Giovanni Bosco, nel frattempo mi incoraggiava di nascosto: «E’ quasi impossibile andare a Gesù se non ci si va per mezzo di Maria».
Se stavo sbagliando, ero comunque in ottima compagnia.
(da Marco Pozza, L’invidia di Satàn, San Paolo 2021)
(La fotografia qui sopra è stata tratta dal sito de El Pais)
Da lunedì 19 aprile 2021, in tutte le librerie, L’invidia di Satàn (San Paolo, 2021), il nuovo libro di Marco Pozza su Maria di Nazareth.
(dalla quarta di copertina) – Adesso è facile, «basta il suo nome, Maria, perchè gli uomini esagerino, non capiscano più nulla. La chiamano povera donna, Madonna, bella donna. L’Immacolata, l’Avvocata, la Regina. I poeti hanno grattato il fondo del barile per escogitare le parole più giuste, le meno slabbrate, le più ardite». Lei, però, ama presentarsi con passi felpati, raccontata dalle nonne ai bambini, pregata dai bambini per i nonni. Invocata da santi, delinquenti e criminali.
Marco Pozza, “alla prova di Maria”, ne celebra l’unicità tessendo in armonia la devozione popolare, la teologia cattolica, i racconti paesani. Rievoca la storia di Gesuina, una vecchia amica della nonna che, solo nel nome, teneva nascosto l’agguato di Maria. Del suo Figliolo: «Perchè Gesuina è la versione femminile del maschile Gesù». Maria è il Gesù in miniatura, «la versione umana più vicina al Dio (dis)umano». Dalla nonna, mentre cucinava i broccoli impastava i dolci, faceva la pasta a mano: l’ha conosciuta lì, l’autore, la Vergine di Nazareth.
L’invidia di Satàn, l’imbecille fatto carne.
Il libro è un viaggio dissacrante e profondo attraverso le quattro stagioni della Vergine, con sullo sfondo i venti misteri del santo Rosario, «la corda di impiccagione di Satàn». Una storia ch’è tutt’ora muro di cinta tra il tempo e il non-tempo. Tra l’uomo mortale e il suo Dio.
Storia di una Madre, affidata alle labbra: «Dovevate sentire nonna recitare il rosario!»
(per acquistarlo, clicca qui)