Una voce fuori dal coro: “evviva la Nazionale di Buffon”. Non è questione di nazionalismo da rispettare; né tantomeno dipenderà dal fatto che quassù, tra le Dolomiti e il Po, dell’italica patria qualcuno vorrebbe farci dimenticare la maternità a tal punto da farci provare nostalgia di essa. E’ per il semplice fatto che quest’anno la Nazionale rappresenta come non mai il popolo che ad essa s’aggrappa per fare il tifo, gemere e piangere. E’ davvero la rappresentativa di un popolo in cui convivono le associazioni mafiose, le scommesse clandestine, le partite e i concorsi truccati, le raccomandazioni e le differenze di trattamento, i leader che – come dice bene il nostro portierone nazionale – sono davvero convinti che a volte “due feriti sono meglio che un morto”. Perché mai sdegnarsi di fronte ad una tale nazionale? Sarebbe stato davvero disgustoso esserci trovati ad applaudire una squadra di incensurati e persone perbene, di giocatori puliti e di vincitori decretati dal campo, di trequartisti da manovalanza e di dirigenti dall’intuito profetico. In quel caso davvero avremmo dovuto gridare a squarciagola: “questa non è la mia nazionale”. A Coverciano ha fatto irruzione la Polizia: poveri loro, chiedevano solamente di essere avvisati prima in modo da farsi trovare col completo addosso, col gel sui capelli e la “fighetaggine” ad adornare il capo. E magari avrebbero per l’occasione pure imparato ad usare il congiuntivo e a mettere il soggetto, il verbo e il complemento oggetto al loro posto, come tentano ogni volta che scendono in campo di far quadrare gli schemi di una partita. Poco importa se negli altri sport (il ciclismo in primis, ndr) i controlli sono fatti a sorpresa, gli atleti sono svegliati all’alba o nel profondo della notte, fermati in allenamento o all’uscita dal ristorante. Poco importa perché da quando s’è fatta l’Italia s’è fatta pure l’eccezione: che il calcio possa vivere e sorridere al di sopra delle regole, quasi un fratello maggiore e predestinato che, guardando tutti dall’alto, possa ergersi a paladino di ciò che viaggia nei pensieri dei suoi protagonisti.
C’è un capitano che tenta di salvare la sua truppa, immolando sull’altare del sacrificio il piccolo Criscito. C’è sempre qualcuno che – come si legge nel Vangelo – deve pagare al posto di tutti: “è necessario che qualcuno muoia per il popolo”. Proprio per questo è urgente che tutti insieme ci organizziamo per tifare Italia, questo bel nome che nel mondo è sinonimo di un piatto di pasta, di un pezzo di pizza e di un pallone da calcio, magari sgonfiato ma sempre pallone. Abbiamo l’obbligo di incoraggiarli perché – parole loro – “sono stufi di essere sotto il tiro”. E noi pure con loro siamo stufi: di essere presi in giro la domenica per poi scoprire il lunedì che i risultati sono altri, di vederci rappresentati anche sportivamente (non solo politicamente ed ecclesialmente) da personaggi loschi e discutibili, d’avvertire che anche la passione e l’entusiasmo popolare devono fare i conti con sistemi di potere lontani mille miglia da quell’alfabeto popolare che ha fatto dell’affiliazione sportiva la fede più praticata dal popolo italiano. Eppure noi tiferemo per l’Italia, sopratutto per Capitan Buffon: perchè non potevamo avere leader migliore di lui nel continuare a mistificare una realtà ch’è davanti agli occhi di tutti.
Su internet le chiamano “Le uscite di Buffon” e stanno facendo concorrenza a Sua Maestà Geronimo Stilton: sono le sue perle di saggezza per ammaestrare gente comune e magistrati, colleghi e giornalisti, politici e commentatori tv. Per mostrare, fra poco, come scommettere altro non sia che la versione sportiva della beneficenza cristiana. Evviva la Nazionale, sopratutto se perderà al primo turno: passerebbe alla storia come la rappresentativa più credibile di una nazione che è completamente “nel pallone”.
* Solidarietà umana a Cesare Prandelli. Perché le sue parole raccontano l’animo nobile di chi conosce le sfaccettature della vita e l’importanza di rappresentare un Paese: “se ci dicessero che per il bene del calcio la Nazionale non deve andare all’Europeo non sarebbe un problema. Per quanto mi riguarda non sarebbe un problema. Ci sono cose che reputo più importanti. Non mi piacciono le crociate, mi piacciono i confronti e non le prese di posizione senza pensare alle conseguenze”. Davvero, ci sono cose più importanti. Temiamo che duri ancora poco l’avventura da CT di Prandelli dopo questa proposta. La sua cacciata sarebbe la vittoria più bella perché certe cose il calcio non vuole sentirsele dire.