Come una grammatica dai verbi inaspettati: “mangiare, bere, vestirsi, soffrire” laddove il popolo che segue Cristo avrebbe magari preferito verbi più consoni alla propria pacifica routine: “pregare, celebrare, organizzare, sopportare”. Eppure la notizia è di quelle che arrecano una notizia sconvolgente per stupore e durata: il giorno del Giudizio Universale altro non sarà che rendere eterne nella loro bellezza e bontà le semplici cose di tutti i giorni. Quello che quaggiù a volte viene stupidamente negato e disprezzato perchè addosso porta i vestiti del banale e del quotidiano, lassù è segno di una bontà che ha tutti i connotati del Regno dei Cieli. Il Giudizio Universale sarà tutto qui: nell’aver aiutato un assetato a trovare un bicchiere d’acqua, nell’aver acceso in un carcerato il sapore di una presenza, nell’aver vestito uno che correva ignudo o rafforzato con un pezzo di pane le membra vacillanti di un povero accattone.
Averlo complicato con mille astruserie teologiche e devozionali ha lasciato come eredità l’angoscia di non sapere cosa ci attende al di là della storia, in quello spazio ricco di mistero e di speranza che solamente una storia ambiziosa e paradossale come quella cristiana tiene ancora l’ardire di testimoniare ad un mondo sovente in preda allo spavento. Perchè un Dio che decida di sporcarsi le mani facendosi uomo nel mistero del Natale è un Dio che dà grande fiducia allo scorrere dei giorni di quaggiù fino a dare alle sue creature la possibilità di scegliersi l’Eternità vivendo nel tempo. Le biografie raccontano che Teresa d’Avila, quando preparava da mangiare per le sue consorelle, fosse intenta alla buona cottura di un piatto e nel medesimo tempo concepisse splendidi pensieri su Dio. In quegli istanti – giocati con il dado della minestra in mano e il Vangelo nel cuore – esercitava quell’arte di vivere che è l’arte più grande: gioire dell”Eternità prendendosi cura dell’effimero. E’ un Dio dal volto gaudente e simpatico quello che chiude oggi l’Anno Liturgico: lungi dall’essere barbuto e serioso come ce l’hanno raccontato troppi cristiani, quel giorno incroceremo un Volto attraente e fiducioso, il volto di un Amore convinto nel far giocare la partita dell’Eterno tra le brume fastidiose di un tempo vissuto più come condanna che occasione. Quasi a voler assicurare che nessun piccolo gesto feriale firmato sotto la volta del cielo passerà inosservato nella costruzione dell’Eternità.
Nella storia – anche quella raccontata dai testi sacri – da un problema nasce sempre un’opportunità; e saper azzeccare soluzioni è il segreto che porta a far fare passi da gigante alla società intera. Non sarà dunque un caso che questa domenica – in calce ad un anno liturgico ricco di incensi, amore e attesa – si lanci la proposta del Banco Alimentare: fare la spesa per chi oggi è indigente. Un gesto simile a quel “caffè sospeso” ch’era buona usanza ripetere nel quartiere Sanità di Napoli: quando uno era allegro, beveva un caffè e ne pagava due. L’altro era per il cliente successivo che, magari vestito da povero, per un giorno si sentiva pure lui signore assaporando l’aroma di un caffè offerto da un anonimo viandante. E’ il volto della vera carità – silenziosa, anonima e operosa – che questa domenica ci ricorda l’alfabeto originale del Giudizio Finale: vedersi riconosciute le cose feriali fatte con amore, firmate nel nascondimento e amate nella loro semplicità.
Complicare il Giorno Ultimo altro non è stato che il trucco usato da molti per mascherare quella certosina attenzione che Dio riserva alle alle piccole cose di tutti i giorni, quelle che arrecano piacere e impreziosiscono la quotidianità delle sue creature. Perchè il suo sogno è rimasto lo stesso sin dagli albori della Creazione: che nessuna casa rimanga senza la festa del cuore.
(da Il Mattino di Padova, 25 novembre 2012)