Sono uno studente dell’Università degli Studi di Milano, più comunemente nota come “La Statale”; quando splende il sole e il clima lo permette, ogni tanto capita che durante i momenti di attesa tra una lezione e l’altra, insieme ad alcuni compagni di corso si percorrano le affollate vie del centro limitrofe all’università. Talvolta, tra una vetrina e una gelateria di Corso Vittorio Emanuele II, capita di incontrare degli amici coi quali ci si ferma a scambiare due chiacchiere, e, talvolta, questi amici che saluto sono persone “della strada”, che chiedono l’elemosina o semplicemente trascorrono il tempo sonnecchiando su una panchina riscaldati dai raggi del sole; è proprio così: posso tranquillamente affermare che alcuni dei miei amici sono dei barboni, o come vengono oggi definiti in maniera forse più rispettosa e meno dispregiativa, dei clochard, degli homeless. La cosa può sembrare strana, e dagli sguardi che ricevo da parte dei miei compagni di corso capisco che è proprio così; i loro occhi sembrano dire “Ma come, tu conosci un barbone?”, e spesso quando sto scambiando due parole con i miei amici “della strada”, rimangono in disparte, leggermente imbarazzati a causa della particolare vicenda a cui stanno assistendo. Una volta che si è ripreso a gironzolare per negozi, capita che qualcuno degli amici che frequentano l’università con me, incuriosito, chieda spiegazioni in merito a quanto è appena accaduto; altri, invece, lasciano scivolare via la vicenda mentre può capitare che qualcuno addirittura mi critichi per le quattro parole scambiate con una persona che “se è finita in mezzo alla strada, ha sicuramente qualche colpa per essere lì”. Parlando con loro, mi pare strano che qualcuno abbia questo pensiero denigratorio nei confronti di un clochard, però non posso certo biasimarli visto che se qualche anno fa non avessi colto una proposta fattami al liceo, niente può farmi dire che oggi non sarei come loro, ossia distaccato e in qualche modo intimorito da una persona che dorme per strada sotto una tettoia.
Tutto è iniziato qualche anno fa, quando un giorno, a tutte le classi del mio liceo, il Montini di Porta Romana, è stata fatta la proposta di partecipare a svariate attività di volontariato nella città di Milano; tra queste attività vi era quella di un servizio a favore dei senzatetto che erano soliti trascorrere le notti nelle vie del centro, e, assieme a qualche compagno di classe, abbiamo deciso di renderci disponibili più che altro attratti e incuriositi da un aspetto della città con cui nessuno di noi aveva normalmente a che fare. Quando si sente parlare di volontariato, si potrebbe pensare a dei supereroi che compiono imprese impossibili per aiutare chi ne ha più bisogno, ma non è affatto così: ciò che faccio insieme a un ristretto gruppo di amici ormai da qualche anno, non è altro che dedicare il mio lunedì sera a delle persone che hanno vissuto delle esperienze nella vita che li ha portati a non poterne vivere una “normale”, portando loro una brioche, un succo di frutta, e nelle notti più gelide un bel bicchiere di tè bollente o una coperta con cui scaldarsi. Le prime volte che ci siamo cimentati in quest’esperienza eravamo entusiasti e allo stesso tempo un po’ in difficoltà, perché non sapevamo bene come approcciare queste persone; spesso ci si limitava a dare qualcosa da mangiare o un paio di jeans a chi ce li chiedeva, e capitava talvolta che facessimo anche fatica a trovare qualcuno a cui lasciare ciò che avevamo portato, in quanto, mi viene da dire giustamente, a noi venivano preferite le associazioni come La Divina Misericordia o Milano in Azione che erano sicuramente meglio organizzate e più attrezzate. Poco alla volta però, lunedì dopo lunedì, mese dopo mese, l’obiettivo della proposta che ci era stata fatta iniziava a prendere forma, in quanto tassello dopo tassello si riusciva a costruire con i senza dimora una relazione sempre più forte, che è sicuramente più importante del semplice “ti porto qualcosa da mangiare e poi ognuno per la sua strada”. Oggi, come spiegato inizialmente, ho terminato il mio percorso liceale ormai da un paio d’anni, ma quest’esperienza non ho voluto concluderla con la scuola, proprio perché non potevo permettere che il percorso compiuto fino a lì si interrompesse bruscamente senza alcun reale motivo; negli anni ci sono ovviamente stati dei periodi in cui ho fatto fatica a essere presente nelle vie del centro il lunedì sera a causa dello studio, dello sport o per qualsiasi altro motivo, e purtroppo, col passare del tempo ho visto il gruppo con cui faccio quest’attività assottigliarsi come numero di componenti, però devo ritenermi soddisfatto per essere riuscito a coinvolgere un paio di amici che il Liceo Montini lo avevano sentito nominare nei miei discorsi e per essere riuscito a portare avanti questa sfida con me stesso. In ogni caso, anche se ormai siamo un gruppo ristretto, anche se a volte è forte la tentazione di stare a casa quando piove o c’è una partita in TV, durante più o meno tutto l’anno al lunedì sera invece che andare al pub facciamo un giro in Piazza San Carlo dove troviamo sempre ad attenderci alcuni di quelli che oramai sono diventati nostri amici.
Come accennato precedentemente, lo scopo di quello che facciamo non è soltanto portare un capo d’abbigliamento o un panino, bensì quello di conoscere, instaurare un rapporto con queste persone che magari per anni abbiamo visto lungo le vie di Milano senza però mai degnarle di uno sguardo, non per cattiveria, ma semplicemente perché abituati alla loro presenza fin da bambini e mai stimolati a provare a capire che “tipo” di persone fossero. L’aspetto più bello di quest’esperienza è stata l’evoluzione che i nostri rapporti hanno avuto: inizialmente si parlava di argomenti come il tempo, fatti di attualità o si discuteva tra milanisti e interisti su quale tra Inter e Milan fosse la vera squadra della città, e poco alla volta si è arrivati a discorsi più personali, che fanno rendere conto di come in realtà non si sappia nulla di quanto una vita possa essere profondamente diversa da un’altra. Incontro dopo incontro, chi più e chi meno ha voluto raccontarci la propria storia, e la cosa che mi ha sorpreso di più è stata che nonostante in molti abbiano sofferto delle esperienze particolarmente difficili e toccanti, la maggior parte vive tutto sommato in maniera serena la propria situazione, che nonostante sia complicata, per riprendere le parole di alcuni di loro, non è certamente la fine del mondo visto che di amici e sostegno ne hanno a volontà in una metropoli come Milano. Il bello del rapporto che si è creato tra noi, è che non solo noi siamo venuti a conoscenza di alcuni degli aspetti delle loro vite, ma loro hanno progressivamente iniziato a interessarsi a ciò che facciamo al di fuori del lunedì sera; è così che via via sono venuti a sapere di cosa studiamo o delle passioni che coltiviamo, e la cosa che mi colpisce sempre è come nonostante ci si veda una volta ogni una o due settimane, e loro vedano innumerevoli persone, ad ogni incontro si ricordano il discorso interrotto dell’ultima chiacchierata o non si dimenticano di chiedere notizie dell’esame che si è affrontato in università del quale gli si aveva parlato durante l’ultima occasione d’incontro. Ciò che è nato nel corso degli anni è un vero e proprio rapporto d’amicizia “normale”; purtroppo non con tutti, ovviamente, è stato possibile instaurare lo stesso tipo di relazione, poiché qualcuno che ci avvicina solo per avere una brioche c’è sempre, ma ciò che quest’esperienza ha dato e sta dando tuttora a me e ai miei amici è un qualcosa di particolare, che sicuramente in un modo o nell’altro ci aiuta nel nostro percorso di crescita; parlando con i nostri amici senzatetto veniamo a conoscenza di alcune storie di vita che ci arricchiscono, ci si confronta su vari temi esponendo ognuno il proprio punto di vista e adesso, leggendo il libro “I gatti di Milano non toccano terra” da poco pubblicato nelle librerie e scritto da alcuni dei nostri amici “Spiazzati”, come si definiscono loro, da questa relazione arrivo ad ottenere anche una cultura sulla città in cui vivo, che nel testo viene descritta e osservata da loro che, vivendo per strada, ne conoscono ogni angolo più remoto.
Al mio vecchio liceo non potrò mai essere grato abbastanza per avermi dato la possibilità di vivere un’esperienza del genere, che pur con tutte le sue fatiche mi ha permesso di non vedere solamente dei barboni mentre cammino per le vie della città, ma di vedere Luca, Aldo, Salvatore, Raul, Claudio e tanti altri che dietro alla sigaretta che stanno fumando o al panino che ti chiedono, celano ognuno una storia diversa, che non aspetta altro che essere scoperta da chi, sfidando ogni sorta di pregiudizio che potrebbe esserci, si vuole mettere in gioco per conoscerli.