Da un legno all’altro. Dal suo primo vagito al suo ultimo respiro. Di legno fu la mangiatoia che lo accolse appena venuto al mondo. Di legno la croce che egli abbracciò per donarsi al mondo. Nel mezzo, nei restanti trentatré anni della sua vita, quell’elemento della natura fu una costante che lo accompagnò in ogni occasione. Dalla bottega di falegname in quel di Nazareth, tra trucioli e profumo di resina, alle barche dei pescatori di Galilea, con lo sciabordio delle onde in sottofondo.
“Oggi è nato per voi il Salvatore”, abbiamo cantato la notte di Natale. Non s’era ancora spenta l’eco dell’ultima nota, che già la tavola dell’altare era apparecchiata per l’Ultima Cena. Non abbiamo fatto a tempo a celebrarne la nascita, che pochi attimi dopo s’è affacciato il memoriale della sua morte e risurrezione.
Strano, ma nemmeno troppo. L’esistenza è un perenne incrociarsi di nascite e di morti, di espressioni di giubilo che ti fanno voglia di abbracciare mezzo mondo e di pianti di nostalgia, nei quali invece il dolore ti fa chiudere a riccio, con gli aculei acuminati e minacciosi verso gli incauti che provano ad avvicinarsi.
La mattina di Natale, mentre venivo sommersa da messaggini di auguri scintillanti, la notizia della dipartita di qualcuno a me caro è scesa su tutto come una coperta grigia e pesante, che ha soffocato colori, suoni e luci. Lo spirito della festa s’è ritirato in buon ordine, lasciando dietro di sé una sensazione di indefinito smarrimento e di silenzio che chiedeva d’essere rispettato. È stato come se qualcuno avesse premuto l’interruttore del Natale, spegnendolo senza preavviso.
Quella mattina stessa, nella mia chiesa parrocchiale, ho puntato gli occhi al bambinello adagiato nella mangiatoia a lato dell’altare, come a chiedergli un punto d’appoggio che fosse il più lontano possibile da qualsiasi facile retorica. A darmi una prima risposta è intervenuto lo stesso bambinello, ormai uomo, che svettava sulla croce posta esattamente sopra quel legno che accolse i suoi primi vagiti. Nascita e morte racchiuse in un unico sguardo. Da un legno ad un altro, per annunciare il proprio amore di Figlio che ci rende figli amati. Nonostante le mille incertezze del presente, nonostante la pandemia, nonostante il dolore, nonostante tutto: “Oggi è nato per voi il Salvatore”… “Oggi il Cristo è risorto dai morti”. Quell’oggi non è una semplice licenza poetica, ma una finestra spalancata verso l’eternità. Una promessa di Misericordia e di accoglienza mantenuta fin da prima che esistesse il tempo.
Da un legno all’altro, dall’inizio alla fine della propria vita di Uomo, quel Cristo in cui riponiamo la nostra fede ci insegna che non sono la morte ed il dolore ad avere l’ultima parola. Ma l’amore. Il suo, ovviamente, ma non solo. Anche il nostro: quello che seminiamo con le nostre azioni, che spargiamo con le nostre parole, che facciamo germogliare in chi ci sta intorno.
L’amore donato e ricevuto è come una sinfonia di note. Non si spegne quando quaggiù qualcuno chiude gli occhi per aprirli all’eternità, ma continua a risuonare in coloro che rimangono, continuano il suo cammino e la arricchiscono man mano di nuove tonalità.