il_volto_della_follia_img_004Umiliato fino alla morte un figlio e fatto altrettanto con il padre Vescovo. S’è consumata in questo duplice atto l’esistenza terrena del giovane don Luca Seidita, diacono della diocesi di Orvieto trovato morto suicida martedì scorso. Una dura botta per la Chiesa che non ha avuto il coraggio di dare ragione delle motivazioni che – contrariamente al parere del Vescovo diocesano – hanno indotto a negare l’ordinazione. Tutta la maternità della Chiesa racchiusa in uno scarno comunicato stampa (da tempo scelto da più parti per evitare il contradditorio): “Si tratta di un sacramento e la Santa Sede non può dare spiegazioni sul perché venga dato o non dato. Noi non diciamo niente e non abbiamo niente da dire”. Che non si dia più ragione di tante cose non serviva questo episodio a confermarlo. Difatti quando la teologia cerca di aiutare la Chiesa a riaccreditarsi di una credibilità perduta, va sempre a mendicare quella famosa frase di Pietro, ovvero l’esigenza di “dare ragione della speranza che è in voi”. E fingendo dimenticanza della seconda parte del versetto: “tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perchè nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo” (1Pt 3,15-16). Chiarissimo l’apostolo Pietro: si parli pure della Grazia, ma lo si faccia con grazia.
Ordinare un ragazzo prete è cosa seria, la cui responsabilità morale pesa sulle spalle di chi si accolla l’onere di fare il discernimento. Ma un ragazzo ha tutto il diritto di sentirsi dare ragione di una negazione. Nutre atteggiamenti ambigui che fanno supporre l’omosessualità? Basta dirglielo e il cuore si rasserena. Pendono sospetti diabolici sul suo capo? Basta metterlo al corrente. Non è ancora maturo per firmare una scelta definitiva? Non saranno certo due anni in più di lavoro personale a smantellare un sogno. Perchè un ragazzo ha tutto il diritto di sognare e, qualora i suoi sogni dovessero infrangersi contro una realtà giudicata insormontabile, il ragazzo ha tutto il diritto di chiedere ragione dei suoi sogni infranti. Invece si tace perchè non si ha niente da dire. Altro che credibilità, questa è in-credibilità. Un’incredibilità che porta sull’orlo di un abisso, in fronte ad un precipizio di fronte al quale l’unica soluzione è salutare questo mondo che ha rubato un sogno senza darne spiegazione. Potevano avere tutti i motivi di questo mondo per bloccare un sogno e lo potevano fare. L’hanno fatto in un modo maternamente ateo: bastava esplicitarli a Luca (magari con qualche giorno di anticipo, ma la Chiesa con i tempi dimostra sempre qualche fuso orario di differenza) e tutto forse sarebbe entrato nella normalità di un cammino da perfezionare. Umiliato un ragazzo e umiliato un vescovo. Con l’aggravante di un’immagine di Chiesa uscita a pezzi per l’ennesima volta. Perchè se un Vescovo – garante dell’autenticità di un discernimento fatto e convalidato – dichiara idoneo un ragazzo all’Ordine Sacro, non è certo per una valutazione di passaggio. Pensiamo che abbia presente la responsabilità di fronte a Dio. Ma se un’imposizione senza spiegazione giudica invalida la scelta di un vescovo (“per me era pronto a diventare prete”) allora quel Vescovo va rimosso nell’attimo stesso perchè incapace di discernimento. Cioè passibile di ulteriori danni nei confronti del gregge a lui affidato per il Regno dei Cieli.
Ad esequie avvenute attendiamo la venuta di un novello Assange che sveli una versione ecclesiale di wikileaks per sapere questa e altre verità: perchè qui c’è di mezzo la morte di un giovane ministro. Che, a differenza delle bestemmie del premier, non ha trovato parole di consolazione. Nel frattempo continuo ad amare la mia Chiesa, anche se non è proprio quella dei miei sogni di prete. E nemmeno di uomo.

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