Questa settimana, la Santa Liturgia, ci ha accompagnati, nel tentativo di poter comprendere qualcosa degli eventi che, in questi ultimi giorni, ci hanno confuso ed amareggiato.
14 settembre 2020, Esaltazione della Croce. 15 settembre 2020: Beata Vergine Addolorata.
Sotto la Croce, solo Giovanni rimase. Nessuno tra quelli che si proclamavano “pronti a morire con lui”. Perché un conto è dirlo, un conto è farlo. Ed è più facile tirarsi indietro, per molto meno della vita. Bastano l’esclusione, la vergogna, il “sentirsi diversi”.
Sotto la Croce, c’erano le donne (Maria, sua madre, Maria di Cleopa e Maria di Magdala) e Giovanni. I discepoli? Non pervenuti (escluso, appunto, Giovanni). Le folle oceaniche, che lo cercavano perché faceva miracoli, procurava il pane, trasformava l’acqua in vino? Dissolte, svanite, evaporate.
Dovremmo ricordarcene, quando ci affanniamo, nella ricerca dell’elogio del mondo, pur di sentirci accolti, stimati, apprezzati ed invece incateniamo la nostra unicità al vincolo del pubblico apprezzamento, rimanendo schiavi della nostra paura ed incapaci di autenticità.
Sul Golgota, Cristo è spogliato di tutto. Letteralmente, fisicamente, psicologicamente, anche spiritualmente. Sperimenta il silenzio dell’uomo e, forse, persino quello di Dio. Fino a pochi giorni prima, intorno a sé c’erano folle festanti, che lo incoronavano re. Ora, nel dolore e nella sofferenza, di fronte ad una morte atroce e dolorosa, non ha che uno sparuto gruppo di donne ed il più giovane,
nel gruppo dei suoi dodici discepoli.
In un mondo che rifiuta anche solo la possibilità del dolore, inseguendo il benessere, è semplicistico chiosare con un “Sì, certo, ma poi risorge”.
Risorge, dopo essere morto. Muore, dopo la Sua Passione. Non possiamo dimenticarci la Resurrezione, ma neppure cancellare quelle parti del Vangelo che ci interpellano, oppure ci danno fastidio.
Anche le storie di cronaca degli ultimi giorni ci danno fastidio, perché ci interpellano. Si annidano tra le pieghe della nostra quotidianità e, rivoltandole, ce ne mostrano il volto più deformato, abbruttito, immiserito, dopo averci irretito con un iniziale splendore.
Abbiamo visto le foto sui social di quei ragazzi che facevano brutto per le vie della provincia di Roma, forti della propria forma fisica e di un’auto potente da mostrare. E abbiamo visto come dietro quella facciata, osannata o tollerata dal mondo, non si nascondeva altro che un comportamento vigliacco, come quello di chi arriva a combattere in 4 contro 1, che per giunta era la metà di uno qualunque di loro. Ecco, allora, che dietro allo scintillio intrigante, dietro alla paura che incutevano ovunque andassero, hanno portato con sé ed esposto a tutti il maleodorante lezzo della vigliaccheria.
Tuttavia, non possiamo dimenticare che tutti questi ragazzi hanno una madre, che sono tutti figli. Come non pensare alla Madre Addolorata che piange per quei figli che sono morti per una mano assassina, ma – anche – per tutti quelli che si sono persi per strada, che si sono illusi di trovare stima e rispetto nella violenza e nella sopraffazione e, invece, hanno creato solo vuoto e squallore attorno a sé. Non è questione di prendere posizione, non è questione di scegliere la parte “giusta”. Si tratta, piuttosto, di aggrapparsi all’amore di Dio che oltrepassa la banalità del Male e riesce a trovare soluzioni creative a dolori la cui profondità rimane inimmaginabile. Nessun figlio è perduto per sempre. Affinché il sacrificio di Willy possa avere frutto, sarebbe bello ricordarlo, nella preghiera, insieme coi suoi carnefici. Sarebbe infangarne la memoria? No, affatto: se il suo coraggio ha umiliato la loro viltà, la sua intercessione potrebbe salvare le loro anime.
Abbiamo visto persino un episodio che può essere visto come il massimo dell’ingratitudine: un sacerdote di Cristo che, oltre ad essere autentico uomo di preghiera, non si risparmiava nel lenire le sofferenze altrui, soprattutto dei più poveri ed emarginati, come i senzatetto che popolano le periferie (ed i centri) delle nostre città. Martedì mattino, nei pressi della chiesa di san Rocco, a Como, qualcuno, che il sacerdote conosceva, ha accoltellato a morte don Roberto Malgesini. Quante volte un sacerdote cattolico si è guadagnato il disonore della cronaca, per aver compiuto qualche nefandezza, che sia in ambito economico-finanziario, oppure a sfondo sessuale?
Non può sfuggire la strana coincidenza del giorno, quasi sicuramente sconosciuta al suo aggressore: non solo la festa liturgica della Madonna Addolorata, ma anche la commemorazione del martirio di un altro prete che ha amato senza misura, non trattenendo nulla per sé, anche a costo della vita: don Pino Puglisi, assassinato il 15 settembre 1993.
Leggendo un libro sulla Sindone, mi ha colpito lo studio di R. Côme, perché, della sofferenza patita dall’Uomo della Croce, evidenziava una caratteristica. La totalità. Gesù si è donato totalmente. E non già sulla Croce. Ben prima. Dal momento in cui si è incarnato, ha rinunciato ad ogni privilegio, pur di salvarci. Ha sofferto, nella totalità del Suo corpo e della Sua anima, per salvare ogni parte del nostro corpo e della nostra anima. Perché ama tutto di noi. Ogni singola parte, ogni nostra cellula, ogni caratteristica del nostro essere, perché era presente quando venivamo formati nel segreto del grembo materno. E, dal primo momento, si è innamorato di ogni parte di noi. Ogni. Persino quelle che noi vorremmo dimenticare.
Ogni giorno, a partire da oggi, possiamo scegliere: contribuire alla redenzione del mondo, oppure partecipare alla sua perdizione.
Cristo ha donato ogni goccia del proprio sangue per la mia redenzione. Per la tua. Per quella di Willy. Per don Roberto Malgesini. Ma anche per i loro carnefici.
Non c’è peccato che, in Cristo, non possa trovare redenzione. Il problema è se siamo disposti ad accoglierla.
Fonte immagine: avveniredicalabria