Il successore di Pietro (registrato all’anagrafe bavarese col nome di Joseph Ratzinger) pellegrino nella terra di Marco Polo e di Raimondo Frachetti, di Giovanni XXIII e Papa Sarto, di Mario Moretti Polegato e Renzo Rosso. Del Prosecco Cartizze, del vetro di Murano e delle Dolomiti ampezzane. Un Papa pellegrino nella vecchia “sacrestia d’Italia” per confermare la fede dagli assalti del Maligno e delle sue tentazioni.
Il beato Giovanni Paolo II, suo predecessore al soglio di Pietro, nel 1985 salutò il popolo veneto con un Incoraggiamento personalizzato: “fate risplendere il genio ch’è dentro di voi”. Erano gli anni di una fede trionfante e in piena ascesa, di un cristianesimo ancora in auge e di un tessuto sociale in cui al prete, al sindaco e al farmacista andava tributata reverenza e ossequi per il solo fatto d’essere unici nel paese. Chiese affollate, associazionismo convinto e vocazioni straripanti: così il Veneto capeggiava in prima fila nella realtà sociale ed ecclesiale. Il Veneto che troverà Benedetto XVI è un Veneto assai diverso e controverso. Lui – cultore di un cristianesimo impegnato a diventare cultura più che di un cristianesimo hollywoodiano che ammansisca e accenda le folle – parlerà al cuore di una terra che lentamente sta chiudendo i suoi orizzonti, ammainando le vele delle sue barche e abbassando le serrande delle sue frontiere. Una terra la cui Chiesa è disperatamente alla ricerca di motivi di credibilità, di ripensamento pastorale e di riaggiornamento operativo. Una realtà alla cui stanchezza il Santo Padre cercherà di rispondere incoraggiando ad “allargare l’immaginazione”, ovverosia a rischiare modalità nuove per dare ragione della fede ch’è nascosta dentro le radici cristiane ed ecumeniche.
Non basterà mostrare al Papa il porto di Venezia – magari con un giro in gondola costosetto in tempi di crisi – per rassicurarlo che la nostra sia ancora una terra aperta ed ecumenica. Come non basterà condurlo dettagliatamente dentro basiliche anticipatamente riempite per farlo ricredere su una scristianizzazione veneta in fase di “lavori in corso”. Troppo intelligente Benedetto XVI per non costringerci alla concretezza della storia: perché provare vergogna oggi del messaggio cristiano? Da teologo ha sempre difeso quella fede che non uccide l’intelligenza umana ma la accende, che non spegne l’affettività ma le permette di trovare valorizzazione e dignità. La sua concezione di cristianesimo è ben lungi dall’annientare l’umano per promuovere il divino, ma è un invito ad esaltare l’uomo attraverso l’immagine del Risorto. Lo dovrà spiegare ad una terra che “si è fatta da sola”, ch’è stata platealmente abbandonata nel momento dell’alluvione e che nella Chiesa fatica a trovare motivi per rialzarsi dalla disperazione e scrollarsi di dosso una fede che spesso sceglie la sicurezza dell’abitudine al rischio dell’innamoramento.
Domenica, al Parco San Giuliano di Mestre la folla (si spera) sarà assicurata. Come anche la perfezione della liturgia, tema assai caro al nostro Pontefice. Che, però, non sarà così ingenuo da non immaginare che – qualora decidesse all’ultimo di cambiare parzialmente tragitto – avrebbe l’occasione certa d’imbattersi anche in un’altra immagine di Chiesa: feriale, scomposta e forse un po’ disaffezionata. Quella chiesa di manovalanza ch’è il volto più credibile di un veneto cristiano alla ricerca di motivi validi per cui credere e continuare a sperare. Un viaggio dentro questa realtà – magari su di un trattore agricolo o in compagnia di qualche buon parroco di campagna – sarebbe il gesto più bello per un Papa che sarà costretto a parlare di Dio ad un popolo dal forte afflato autonomo. Che in piena crisi economica ha scoperto di non essere Dio.