Novembre è mese di consolazione e d’inquietudine: nessuno, dei dodici a disposizione, è capace d’inanellare e di far convivere assieme le due estremità in due giorni strettamente legati tra di loro. Così saldati, quasi fusi tra loro, fino a confonderli: il giorno di tutti-i-santi e il giorno della commemorazione dei defunti. S’annuncia così – «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie» (G. Ungaretti) – il mese che più di altri ricorda l’avventura dell’esistenza: la santità, ovvero una vita vissuta con così grandi gesta quotidiane d’aver guadagnato l’eternità, e la morte: il limite architettonico col quale ognuno dovrà scontrarsi, grazie al quale ciascuno avrà l’occasione di sapersi mortale e, dunque, uomo, non-Dio. Accade questo, con la morte: se la nostra vita è stata un’interminabile analisi – di gesta, di pensieri, d’azioni più o meno grandiose – la morte s’incarica di fare la sintesi della nostra esistenza. Ciò che rimarrà di noi, sarà ciò che siamo stati davvero.
S’inizia il mese varcando la soglia del camposanto. Più che masochismo è gesto che allena la memoria: nella stagione in cui ciò l’urgenza è sapere dove vogliamo arrivare, il cimitero è promemoria dell’altra urgenza: del sapere bene dove stanno le nostre radici. Da dove arriviamo, per poi andare verso dove vogliamo indirizzare la nostra destinazione. Della stagione delle mie scuole elementari – forse la stagione in cui il sapere ha avuto più indici di sapore di tutti gli anni – tengo a cuore la visita d’istruzione che si faceva nei giorni prossimi ai “morti”: si partiva dalla scuola e si andava a visitare il cimitero del nostro paese. Mai nessuno, tra tutti i nostri genitori, ha fatto barricate contro le maestre per quella sorta di gita fuori porta mal gradita: come accettavano che, qualche volta, a scuola si leggessero storie di mostri e di fantasmi, così accettavano di buon grado che le maestre ci accompagnassero in quel luogo nel quale non abitano i morti ma sopravvive la memoria di loro, di chi sono stati per noi. Di quelle visite ricordo tutt’oggi il benvenuto dell’impiegato del comune, che ci faceva da guida-turistica tra le tombe: “Prima di tutto ricordatevi che i cimiteri sono pieni di gente che si pensava necessaria. Il mondo è andato avanti anche senza di loro”. Lui rideva, pur sapendo che nel sorriso ci aveva già deposto la lezione più bella: vivere come se tutto dipendesse da noi e, al tempo stesso, vivere sapendo che nulla dipende minimamente da noi. Pare assurdo: «Per quanto bella sia stata la commedia in tutto il resto, l’ultimo atto è sempre sanguinoso. Alla fine, con una vanga si getta della terra sulla testa. Ed ecco fatto, per sempre» scriveva, mica solo ironicamente, Blaise Pascal. È il fascino del saperci mortali, impotenti. Limitati da questo limite che chiamiamo “morte”. È grazie a questo limite, però, che possiamo sentirci vivi: calcolandolo, affrontandolo, cucito addosso.
La memoria della morte, il 2 novembre, subito dopo l’esaltazione massima della vita, la solennità di tutti i santi, l’1 novembre. Cos’è, dunque, la santità se non l’essere stati così saggi da calcolare la morte e, per averla calcolata, aver vissuto ogni singolo giorno come fosse stato l’ultimo giorno della propria vita? È per questo che la mattina ci s’inginocchia di fronte ai santi e poi, nel pomeriggio, si varca la porta del cimitero. È come per le scalate vertiginose, quelle verticali: prima ci si imbraga, poi s’inizia ad arrampicare. Rovesciare le gesta, è firmare la propria condanna. In cimitero, dunque, solo dopo aver conosciuto le storie di chi ce l’ha fatta a vivere in maniera così densa da far apparire la morte l’avversaria più augurabile per non rischiare di vivere invano. Morire, infatti, è tremendo: pur Dio, Cristo fece alzare un grido cavernicolo sulla croce, in punto di morte. Salvò la sua storia, oltre che per il fatto d’essere Dio davvero, perché aveva vissuto la vita come pochi altri. Tremendo è morire – scriveva Fromm -, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile. Al mio paese, il cimitero è visita d’istruzione.
(da Il Mattino di Padova, 5 novembre 2017)
(nella foto: particolare del Cimitero al Verano di Roma – da www.ansa.it)
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